di Antonio Talia
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Pechino, 6 mar.- Crisi del debito pubblico europeo, spinosi dossier come Siria, Iran e Corea del Nord, il rapporto con gli Usa: nella conferenza stampa tenuta martedì ai margini dell'Assemblea Nazionale del Popolo il ministro degli Esteri Yang Jiechi ha toccato tutti i temi relativi della politica internazionale cinese. Senza grandi sorprese, che raramente vengono riservate a vertici così ufficiali: sul fronte dell'euro, ad esempio, Yang ha ripetuto la formula che Pechino adopera per descrivere le "gravi difficoltà dell'Eurozona", che conserva tuttavia "capacità e saggezza sufficienti per affrontare la crisi", ribadendo il sostegno alla moneta unica del Vecchio Continente "a modo nostro, attraverso investimenti capaci di portare reciproci vantaggi".
La liturgia usuale si ripete anche sulle crisi di Teheran e Damasco, sulle quali Pechino mantiene "un canale di comunicazione" con Washington. "I problemi del Medio Oriente devono essere risolti dai popoli mediorientali" ha detto Yang, ribadendo la proposta cinese in sei punti per la soluzione della guerra civile siriana. Pechino, com'è noto, aveva votato contro la risoluzione per un intervento in Siria in sede di Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
L'ennesima conferma di Vladimir Putin ai vertici del potere russo ha offerto a Yang Jiechi l'occasione per riaffermare la "partner strategica" con Mosca e l'importanza del ruolo della Shanghai Cooperation Organisation, l'organismo che riunisce Russia, Cina e quasi tutte le repubbliche centrasiatiche, con altre nazioni come Pakistan, Mongolia e Iran nel ruolo di osservatori e possibili futuri membri. Molti analisti stranieri, tuttavia, ritengono che le relazioni tra Mosca e Pechino siano basate soprattutto su un mutuo sostegno relativo a questioni contingenti, più che su un vero e proprio asse: le due nazioni competono su diversi fronti (es.: forniture militari a Paesi terzi) e sono troppo impegnate in estenuanti trattative sul versante energetico per essere davvero alleate.
Il ministro degli Esteri cinese ribadisce che la crisi iraniana va risolta attraverso "dialogo e cooperazione" anziché "fronteggiandosi e comminando sanzioni" : per la Cina tutte le nazioni, Iran incluso, hanno il diritto di sviluppare un programma nucleare pacifico. "Il meccanismo di dialogo a sei riveste un'importanza fondamentale per la soluzione della questione iraniana" ha detto Yang.
Qualche timido lampo emerge sui "disaccordi con i Paesi confinanti", in un riferimento neanche troppo velato alla complessa situazione del Mar Cinese Meridionale, dove Pechino è impegnata in una complessa disputa territoriale con numerose nazioni tra cui Vietnam e Filippine, una situazione che ha visto un rinnovato dinamismo degli Stati Uniti nell'area Asia-Pacifico, anche attraverso l'allargamento delle truppe di stanza nelle basi militari australiane. "Speriamo che le nazioni coinvolte riconoscano i legittimi diritti e interessi della Cina nell'area - ha detto Yang - e che gli strappi si possano ricomporre attraverso la cooperazione pacifica".
Washington, tuttavia, deve "rispettare gli interessi di Pechino nella zona": l'ennesima risposta alla nuova politica dell'amministrazione Obama, che qualche mese fa aveva dichiarato senza mezzi termini che per gli Usa il Ventunesimo Secolo è "il secolo del Pacifico", in una mossa vista dalla Cina come un tentativo di contenimento.
Il Dragone, infine, è una "nazione in via di sviluppo e lo rimarrà per tutto il decennio". L'understatement di Yang Jiechi e della leadership cinese, se ancora c'era bisogno di conferme.
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