di Priscilla Inzerilli
Roma, 26 mar. - Un delicato momento, quello attuale, in cui l' Occidente si ritrova affascinato e timoroso testimone dell'impatto della Cina sul mondo; un momento in cui emerge la necessità di riesplorare i territori della Storia, in particolare quei territori in cui le parti in gioco si sono confrontate incrociando non già armi ed eserciti, ma libri e filosofie, duellando per quella supremazia culturale che ancora oggi sembrerebbe possedere la forza di legittimare ogni conquista.
L'Oriente a Roma nel Seicento è il titolo del ciclo di seminari organizzato e coordinato da Elisabetta Corsi, professore ordinario di Lingua e Letteratura cinese presso la Facoltà di Lettere della Sapienza Università di Roma; un percorso attraverso le fonti del sapere di Asia ed Europa prodotte nel corso del XVII secolo, momento in cui le grandi civiltà Orientali sono chiamate a confrontarsi con un avversario culturale altrettanto gigantesco e l'Europa cristiana sperimenta la krisis del proprio pensiero.
Significativo appare il tema trattato nella prima lezione del ciclo intitolata"Against Fate: Ferdinand Verbiest's (1623-1688) Criticisms of the Chinese Mantic Arts", a cura di Chu Pingyi dell'University of California Los Angeles, tenutasi lo scorso giovedì 22 marzo presso il Dipartimento di Storia, Culture e Religioni della Sapienza. Nel corso del seminario, Chu Pingyi si è occupato tra l'altro di tratteggiare l'origine e la complessa gestazione del termine mixin, modernamente reso con "superstizione", che fa la sua prima comparsa nel lessico cinese solo a partire dal XVI secolo, con l'arrivo dei missionari Cristiani. Un termine utilizzato frequentemente nei trattati critici dei Gesuiti e dei loro seguaci cinesi convertitisi, stando a indicare tutte quelle pratiche ritenute eterodosse rispetto al Cristianesimo. In tale contesto, pratiche mantiche (feng shui, geomanzia, divinazione, scelta delle date propizie del calendario) e religione cinese (Buddismo, Daoismo) vengono poste sullo stesso piano in quanto pratiche non ortodosse
Definire cosa sia "superstizione" e cosa invece "ortodossia" è questione spinosa, poiché attraverso tale definizione si va, alla fine dei conti, a fondare un rapporto di "gerarchia" culturale. Sarà proprio la consapevolezza della forza dirompente delle parole e del controllo esercitabile su di esse a dar luogo alla "battaglia" dialettica tra Ferdinand Verbiest, missionario e astronomo, il più agguerrito tra i critici della cosiddetta "superstizione" cinese e Yang Guangxian, letterato anticristiano difensore della legittimità e veridicità della propria tradizione. Una Cina che impatta contro le verità della Scienza e la potenza del pensiero dottrinale Cristiano e un Occidente che vacilla di fronte alla forza del rito millenario, che non è circoscritto in chiese e libri ma investe ogni ambito del quotidiano. Un senso religioso legato a principi "assoluti" ed uno legato alla tradizione, quello Occidentale Cristiano e quello Cinese, che si scontrano, senza mai davvero comprendersi del tutto, ma che finiscono in un modo o nell'altro per arricchirsi a vicenda.
Oggi, queste ormai vaghe e sfumate entità definite "Oriente" ed "Occidente" sono chiamate nuovamente su questo territorio di confronto, affiancando alla forza politica ed economica quella della conoscenza. Perché la Cultura, se di arma si tratta, è arma "benefica", forse proprio in virtù del fatto che - nel bene o nel male - essa è sempre e comunque in grado di creare, mai di distruggere.
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