di Alessandra Spalletta
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Shenzhen, 28 mag. - Un colosso delle telecomunicazioni non può chenascere nella culla della libertà digitale. Non è così se il gigante sichiama Huawei. Multinazionale sorta nella prima Zona Economica Specialedella Cina: Shenzhen.
Doverosa premessa. La Cina dei paradossisi esprime al meglio nel doppio primato di paese che controllal'informazione su internet e di nazione che registra il maggior numerod'internauti al mondo.
Ed ora, raccontiamo la storia di una delle sua predilette creature.
L'aziendacinese nata 20 anni fa nella città simbolo del Guangdong – spinadorsale dello sviluppo cinese – sembra essere diventata famosaall'improvviso. Un debutto che ha colto molti di sorpresa, soprattuttogli amici/nemici di sempre: gli americani, che sorvegliano.
Unaltro miracolo cinese? In realtà ciò che ha proiettato Huawei aivertici dei maggiori competitor globali nel settore delletelecomunicazioni è in controtendenza rispetto al capitalismo di statoche ha tenuto banco finora nella Repubblica Popolare cinese: impresecresciute all'ombra delle banche pubbliche, addestrate per entrarenella squadra dei "campioni nazionali" alla conquista del mercatointernazionale. Huawei ha tutta un'altra storia.
Il profilo èdi una compagnia privata con una spiccata visione internazionale:enfant prodige agli albori già in fuga dal mercato interno (all'epocaacerbo), mutato in azienda di successo grazie ai clienti stranieri, cheincidono sui profitti per almeno due terzi. Questa, almeno, èl'immagine che la multinazionale vuole trasmettere di sé.
Perché agli occhi di molti, l'ascesa di Huawei resta soprattutto opaca.
L'aziendadi Shenzhen, infatti, deve difendersi tanto dai concorrenti – la rivaledi sempre, ZTE – che dai sospetti, soprattutto americani, di matricecibernetica. E per farlo, ha iniziato a puntare molto sullacomunicazione. Tutti hanno uno scheletro nell'armadio. Anche Huawei,che però non fa nulla per nasconderlo. Ren Zhengfei – attuale Ceo -l'ha fondata nel 1987, ma prima di diventare un magnate delletelecomunicazioni, ha fatto carriera - 30 anni fa - nell'Esercito.
Chiconosce un po' il paese, e anche chi lo conosce meno, non può fare ameno di subodorare un legame tra l'azienda e il governo. L'ex ufficialealla ricerca di assoluzione da quello che appare a molti come il suopeccato originale ha più volte smentito la presenza della mano militarenel suo impero, ribadendo di aver svestito la divisa anni orsono."L'azienda è di proprietà dei dipendenti: 60mila assunti detengonoquote azionarie ed eleggono a turno i membri del Consiglio diamministrazione", precisano al quartier generale.
Niente dafare. Huawei resta nel mirino soprattutto di americani e australianiche la tengono fuori dai loro mercati, come vedremo più avanti.
Iltimore riguarda la vulnerabilità della sicurezza nazionale: leinfrastrutture connesse in rete sono esposte all'appetito degli hacker.Il Pentagono nel suo rapporto annuale sulla spesa militare cinese,torna a tacciare il Dragone di spionaggio industriale. Pechino respingele accuse al mittente ma ciò non basta a placare la paranoia degliamericani: nell'era d'internet gli attacchi informatici equivalgono adichiarazioni di guerra.
I sospetti, guarda caso, siconcentrano sempre su Pechino, da più parti ritenuta l'artefice degliattacchi informatici sferrati negli ultimi anni. Tutti ricordano ilcaso di Google nel 2010, quando il colosso di Mountain View fu vittimad'infiltrazioni digitali: Washington nascose la polvere sotto iltappeto, ma da allora l'America vive in costante stato di allerta.
Lebordate tra Usa e Cina sono infinite. Perché ad andarci di mezzo èun'azienda che produce telefonini nel cuore della (ex) fabbrica delmondo?
Huawei oggi è nota, infatti, soprattutto per aversfornato lo smartphone più sottile al mondo, ma non si limita a questo:negli stabilimenti di Shenzhen viene prodotto l'hardware che fafunzionare i cellulari. Non solo, anche l'hardware che collega icomputer a internet. Per intenderci: oggi i dati di tutte lecomunicazioni che avvengono in una città di 6 milioni di abitantipossono essere contenute in una scatola che ha le dimensioni di unacabina armadio. Huawei è leader in questo genere di tecnologie. Levende in Cina e – salvo barriere - nel resto del mondo. Anche negliUsa, ma con difficoltà.
La compagnia punta all'innovazione persmarcarsi dai concorrenti (la cinese ZTE, e le altre a noi piùfamiliari: la numero uno Ericsson, Alcatel, Nokia-Siemens, Cisco) el'espansione programmata per i prossimi anni passa attraverso losviluppo della telefonia mobile e del cloud-computing per le imprese.Il cloud-computing può dare vita a un campionario di applicazionisparse, come ad esempio quella sperimentale in un nuovo ospedale diShanghai, dove il data center centralizza e dirama tutte leinformazioni cliniche in formato digitale.
Inoltre, al centro diricerca di Shenzhen si producono le tecnologie avanzate come lavideopresence. Gli apparecchi telefonici per le conference-call segnanoil passo: oggi le riunioni di lavoro si svolgono in video-conferenza,una stanza virtuale dove i partecipanti si osservano e dialogano tra diloro attraverso uno schermo.
Si capisce come a spaventare gliamericani sia tanto la muscolatura di Huawei, che quella – potenziale -dei suoi chip. Se a questo aggiungiamo il passato torbido del Ceo e isospetti sulle (presunte) mire cibernetiche di Pechino, si capisce comei dubbi sull'azienda di Shenzhen siano destinati a cristallizzarsi,anziché a scemare. Ed è allo stesso modo chiaro come sia nell'interessedel gigante asiatico delle telecomunicazioni allontanare questipregiudizi dimostrando di non avere segreti da celare.
PAROLA D'ORDINE: TRASPARENZA
Eci spostiamo così dall'ambiente limaccioso delle speculazioni a quelloreale dei risultati finanziari. Huawei non è quotata in borsa. E non ètenuta, quindi, a rendere noti i suoi ricavi, un impegno misconosciutoper altre aziende (non tutte) di simili fattezze e dimensioni.Precursore di tempi sempre più moderni, il gigante delletelecomunicazioni gioca d'anticipo e dissolve l'effetto urticante diuna situazione vaporosa, definendola. Avvolgersi nelle spire dellepolemiche non produce quasi mai nulla di utile - Huawei se neinfischia, e va al sodo.
Il mese scorso il quartier generaledi Shenzhen era in fibrillazione. Un centinaio tra analisti egiornalisti gremiva la sala conferenza in attesa del sibilo deimicrofoni. Sul palco, i massimi dirigenti in gran spolvero. Alle lorospalle, uno schermo proiettava numeri e grafici. "Abbiamo chiuso il2011 con un fatturato di 32,39 miliardi di dollari, in crescita del11,7% rispetto all'anno scorso. Abbiamo inoltre registrato un utilenetto di 1,84 miliardi di dollari, in linea con le previsioniaziendali", scandisce il numero tre di Huawei, Eric Xu, ingegnereinformatico. Risultati brillanti. Ma l'azienda è meno obesa di quantoappaia a prima vista. Un neo, l'utile netto – al di là delle apparenze- si è prosciugato: 1,8 miliardi di dollari, una cifra dimezzatarispetto a quella del 2010 (−53%).
Lo scarto è prestospiegato. Investire sulla creatura per farla crescere: è questa lafilosofia dei manager alla guida del colosso, che invece di raddoppiaregli utili, aumentano in modo (non) irrituale le spese destinateall'area ricerca e sviluppo, che incassa 3,6 miliardi (+ 1,9%).Solleticata da una concorrenza aggressiva, l'azienda ha continuato arovistare - innovando - nell'arsenale dei telefoni cellulari,potenziando il marchio e spingendo sul pedale della promozione. Ilbusiness risente della competività di altri big – Ericsson - che harosicchiato i margini del 6,5%. (profitto lordo).
"Larecessione globale, unita ad altri fattori quali l'instabilità politicadi alcune regioni e la fluttuazione dei tassi di cambio, ha avutoun'influenza negativa sull'azienda", scrive il Ceo Ken Hu nel rapportoannuale.
Il settore maggiormente esposto ai venti della crisiè il mercato delle soluzioni per la rete dove Huawei tradizionalmenteva più forte. Le vendite delle reti dati hanno inciso per il 74% sulfatturato, ma con un ritmo di crescita del 3%. Occhi puntati ai numeriesibiti dallo sfidante svedese, Ericsson, che ha macinato venditeper l'ammontare di 19,8 miliardi e altri 12 miliardi li ha incassatidall'unità global service.
Stretta tra un mercato globale incontrazione e l'insidia degli emuli a stelle e strisce, Huaweidiversifica l'offerta, concentrando le mire espansionistiche sia sulcomparto device – smartphone e tablet – sia sul nuovo settore di punta:Enterprise.
HUAWEI CLASSICO: DEVICE
Huawei è ilsesto venditore al mondo di telefoni cellulari (secondo la società diIT Gartner). Quest'anno conta di venderne 60 milioni, triplicando ilrisultato rispetto al 2011. Zte, a confronto, ha dichiarato di voleretriplicare le vendite raggiungendo quota 50 milioni. La divisioneconsumer ha registrato un aumento delle vendite del 44,3% con unfatturato di 7 miliardi di dollari.
Obiettivi per il futuro.Huawei vuole espandere la sua presenza nel mercato dei devicecontinuando a sviluppare le tecnologie delle comunicazioni. "Il targetper il 2012 è crescere del 15-20%. Sarà cruciale immettere sul mercatosempre nuove tecnologie che soddisfino clienti, operatori e imprese",ha annunciato il corporate controller CT Jonhson.
In altreparole, la chiave del futuro è l'innovazione. Si spiega cosìl'accelerata degli investimenti in ricerca e sviluppo e l'assunzione di30mila nuove risorse. Huawei ha bisogno di un pool di talenti persvincolarsi dal cappio della concorrenza globale. Bisogna attrezzarsiper far sì che sfidare gli artigli degli altri big - Samsung, Apple eNokia - non resti un'ipotesi peregrina.
Ed è qui che i nodivengono al pettine. Huawei vende in tutto il mondo: Cina (32%),Americhe (39,2%), Asia (17%), Europa (3,6%).
Che la Cinafaccia la parte da leone, non deve sorprendere più di tanto: gli utenti3G hanno raggiunto quota 152 milioni alla fine di marzo (+ 10%).
L'Europaa dispetto dei magri risultati è il mercato che cresce di più - con unincremento del 12,6% - ed è quello dove si sedimentano le maggioriambizioni. Huawei è presente anche in Italia: il centro ricerche diSegrate inaugurato nell'autunno scorso ha creato in poco tempo unindotto che fa gola, assumendo 550 professionisti: un fascio dicompetenze in grado di sfornare la tecnologia microwave migliore almondo. Personale locale, management cinese: formula vincente.
L'Europaè uno snodo fondamentale, ma purtroppo non basta a placare le ambizionidei vertici aziendali, e a ripararla dall'onda lunga della recessioneglobale. La fetta più grossa del mercato internazionale delletelecomunicazioni appartiene, infatti, agli Stati Uniti, che looccupano per il 25-30%. Un serbatoio immenso da cui però Huawei ricavasolo l'1% del suo fatturato. Troppo poco.
Gli Stati Uniti sonoermeticamente chiusi all'ingresso della compagnia cinese, su cui siaddensano – come abbiamo visto – molti sospetti: Washington vuoleproteggere la sicurezza dei dati in rete. Una posizione, questa, cheappare granitica, e che porta Huawei a scontrarsi con una lunga seriedi barriere commerciali e dispute anti-dumping. Dal quartier generaledi Shenzhen si studiano le tattiche migliori per aggirare i vetistatunitensi e accaparrarsi il diritto ad affermarsi nell'altra spondadel Pacifico.
Huawei chiede aiuto all'Europa. L'ultimabattaglia giuridica si è combattuta, infatti, nei giorni scorsi, eriguarda una denuncia antitrust presentata da Huawei alla CommissioneEuropea contro InterDigital. L'azienda cinese si appella allaCommissione chiedendo di interrompere gli abusi da parte dell'aziendastatunitense sui suoi "brevetti presumibilmente essenziali per glistandard 3G (UMTS)", come si legge nel comunicato diffuso venerdìscorso.
Ma invece di una mano tesa, dall'Europa è arrivato un sacco di bile.
Senzacolpo ferire, lunedì Bruxelles somministra uno scappellotto a Huawei eZte che minaccia di innescare una polemica diplomatica con Pechino: ifunzionari dell'UE, riferisce il Financial Times, hanno annunciato airappresentanti dei 27 stati membri l'avvio di provvedimenti contro ledue aziende cinesi, sostenendo di avere "prove molto consistenti" disussidi ottenuti illegalmente dal governo cinese, e di pratiche didumping sleali. Si annuncia agguerrita la reazione della Cina, che nelfrattempo sta conducendo in sede Wto un'altra battaglia legale che lavede opporsi agli Usa sulle tariffe applicate ai pannelli solari.
Direcente pure l'Australia si è unita al club dei 'tiranni', con ladecisione di Canberra di escludere Huawei dalla gara pubblica per lacostruzione di una rete broadband dal valore di 38 miliardi di dollari.Una mossa che la Cina, per bocca del ministro del commercio, si èaffrettata a definire sleale.
HUAWEI 2.0: ENTERPRISE
Ilpiù temuto concorrente di Huawei per lo sviluppo del suo nuovo fioreall'occhiello – divisione Enteprise – guarda caso ha il passaportoamericano, e si chiama Cisco.
Muovendosi con destrezza, adispetto della recessione globale e dello status di bandito dal mercatopiù ricco del mondo, la compagnia cinese ha incrementato i ricavi del57% registrando un fatturato di 1,4 miliardi di dollari. Enterprise èla divisione che è cresciuta più in fretta, ed è anche quella che habeneficiato dei maggiori investimenti. Per competere in un mercato da35 miliardi di dollari, si legge nel rapporto, "Huawei si è imbarcatain nuove missioni dal momento che abbiamo stanziato molti fondi per losviluppo del business". Huawei punta molto sul cloud computing.
Peril momento i maggiori clienti sono cinesi: il gigante finanziario ChinaConstruction Bank e un'azienda leader del settore IT come Tencent,giusto per fare qualche nome. Ma nei piani del gruppo ci sonosoprattutto le aziende straniere.
La strategia di Huawei èspiegata da un'analista di Los Angeles, David Wolf, autore di un libroche ha fatto già molto discutere di sé. In "Making the Connection",infatti, Wolf traccia l'origine del successo di Huawei e Zte, dafornitori nel mercato interno - sull'onda del boom telematico a inizioanni '90 - a giganti delle telecomunicazioni, sfatando il mitodell'ombra del governo centrale dietro l'ascesa dei due giganti. "Questa storia di successo, a mio avviso, ha più a che vedere con ladebolezza del modello di capitalismo di stato in Cina. Al di là dellepolitiche industriali messe a punto da Pechino, infatti, a benguardare, le aziende cinesi che diventano globali sono quelle forgiatenelle fornaci del mercato", spiega Wolf, che da Pechino – dove vive da20 anni con la famiglia – è arrivato trafelato a Shenzhen perintervenire nel panel di analisti.
Huawei non è l'unicaazienda ed essersi fatta i muscoli nella giungla dell'acerbo mercatodelle telecomunicazioni, di cui il governo cinese ha spalancato leporte 20 anni fa. 'Compagne di banco', oltre all'altra prima dellaclasse Zte, c'erano aziende semi-sconosciute come Great Dragon, rimastenell'ombra nonostante un evidente – e sbandierato - sostegno delgoverno. Great Dragon ha ricevuto per anni sussidi statali: proclamata"campione nazionale", è stata tuttavia risucchiata in una spiralemortifera.
Huawei deve il suo successo a una politica apertaalle sfide reali del mercato, sottolinea Wolf. "La forza dell'aziendarisiede nella capacità di intercettare le esigenze inappagate deiconsumatori e offrire ciò che i competitor non sono ancora riusciti arealizzare. Hai bisogno di una stazione mobile con una fornitura dienergia tre volte tanto perché dove sei l'energia elettrica èinaffidabile? Nessun problema, ci pensiamo noi". Molto più di unoslogan: Wolf ne è convinto.
In fuga da un'ottica provinciale,senza mai volersi legare troppo al mercato interno, Huawei nutre findalla nascita ambizioni cosmopolite. Oggi l'azienda ha una visionesempre più internazionale.
Per corteggiare potenziali clienti,Huawei guarda di nuovo all'America: la compagnia ha siglato un accordodi joint venture con la statunitense Symantec, comprando il 49%.Un'operazione da 530 milioni di dollari osteggiata da agguerritiavvocati statunitensi e un'ala del governo Usa.
"TO ENRICH LIFE THROUGH COMMUNICATION"
Lavisita al centro ricerche e sviluppo del quartier generale di Shenzhenequivale a un viaggio nel futuro. Un mosaico di microchip illustrato inperfetto inglese da un manager improvvisatosi guida.
Dall'altraparte della strada, c'è lo stabilimento della Foxconn – uno dei piùgrandi produttori di componenti elettrici per colossi quali Apple -finita sotto l'occhio del ciclone per gli scioperi e una raffica disuicidi di operai, tenuti in condizioni disumane.
I dipendentidi Huawei, invece, ostentano sorrisi. Del resto il motto aziendale èquello: arricchire la vita dei clienti attraverso i prodigi dellacomunicazione.
Il paese dei balocchi? L'ultima immagine checonservo mentre l'auto varca il cancello del quartier generale versol'imbocco dell'autostrada: la mia accompagnatrice cinese mi salutaarmeggiando il suo smartphone – sottile, ovviamente, come un'ostia.
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