Di Eugenio Buzzetti
Pechino, 4 mar. - E’ tornato oggi a casa il primo dei cinque librai di Hong Kong scomparsi nei mesi scorsi, ma senza spiegare i motivi e le vicissitudini della sua prolungata assenza. Lui Por, general manager della casa editrice Mighty Current, è rientrato nell’ex colonia britannica questa mattina e ha chiesto alle forze dell’ordine di chiudere il caso relativo alla sua scomparsa. Secondo fonti anonime citate dal quotidiano South China Morning Post, la polizia dell’isola sarebbe stata allertata del ritorno a Hong Kong dell’uomo e alcuni agenti lo avrebbero aspettato di fronte all’ingresso della sua abitazione, nel quartiere di Tai Wai. Lui era scomparso a ottobre scorso assieme a due suoi associati, Lam Wing-kee e Cheung Chi-ping, apparentemente per partecipare ad alcune indagini di polizia in Cina, nella provincia del Guangdong, confinante con Hong Kong. Sempre per lo stesso motivo, un altro libraio, Gui Minhai, con passaporto svedese, era scomparso poche settimane dopo mentre si trovava in Thailandia. Il suo caso era tornato alla ribalta a gennaio, quando Gui era stato ripreso dalle telecamere di Cctv in una confessione televisiva in cui ammetteva di avere investito anni fa un giovane e di non averlo soccorso.
La vicenda che ha destato maggiore scalpore, fino ad alimentare le voci di un possibile rapimento da parte delle autorità cinesi, è quella del quinto libraio scomparso, Lee Bo, cittadino di Hong Kong con passaporto britannico, che aveva fatto perdere traccia di sé il 30 dicembre scorso. Lee gestiva la Causeway Bay Books, una libreria di Hong Kong specializzata in libri di gossip politico cinese, sgraditi ai vertici politici di Pechino. Dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, l’ambasciata britannica in Cina aveva chiesto spiegazioni alle autorità cinesi, mentre il capo esecutivo di Hong Kong, Leung Chun-ying, aveva espresso profonda preoccupazione per il caso suo e degli altri quattro librai. La risposta di Pechino era arrivata, nei primi giorni caldi della vicenda, soprattutto dai media ufficiali. In un editoriale, il Global Times aveva affermato che “alcuni non vedono l’ora di definire la vicenda una violazione del principio un Paese due sistemi” che regola i rapporti tra Pechino e Hong Kong, sostenendo anche che i libri venduti dai cinque uomini avevano creato una sorta di “area grigia” che sopravviveva utilizzando la provocazione politica.
Dopo settimane di sostanziale silenzio da parte delle autorità cinesi, nei giorni scorsi i media di Pechino hanno riportato che quattro librai scomparsi sarebbero stati rilasciati a breve, già entro la fine di questa settimana, per avere ammesso le loro colpe. A loro carico c’è l’accusa di avere introdotto illegalmente in Cina, per posta, quattromila volumi diretti ad almeno 380 destinatari sparsi in tutto il Paese. Sempre in Cina, gli uomini sotto indagine avrebbero aperto un conto corrente dove ricevere i versamenti per i libri consegnati. Intanto, nella serata di lunedì, di fronte alle telecamere dell’emittente di Hong Kong, Phoenix Tv, Lee Bo aveva smentito le voci circolanti su un suo possibile rapimento e aveva spiegato di avere varcato la frontiera con la Cina intenzionalmente per prendere parte ad alcune delicate indagini. Per lo scompiglio provocato dal suo caso, Lee si era anche detto disposto a rinunciare alla cittadinanza britannica, dichiarando di sentirsi “cittadino di Hong Kong, cittadino cinese”. Le dichiarazioni sembrano in linea con i contenuti di almeno due lettere inviate alla moglie nelle prime settimana dalla scomparsa, che hanno però generato molti dubbi sulla loro autenticità: nelle missive, Lee scriveva di trovarsi in Cina per le indagini e di essere trattato bene dalle autorità cinesi.
Il caso dei librai scomparsi costituisce l’episodio di maggiore tensione tra la Repubblica Popolare Cinese e la regione amministrativa speciale cinese dai tempi delle manifestazioni pro-democratiche di Occupy Central a fine 2014. Molti aspetti della vicenda rimangono ancora non chiari e la scomparsa dei librai è stata definita da molti esponenti politici dell’isola una “chiara violazione” della legge e del rapporto tra Pechino e Hong Kong, regolato sul principio “un Paese, due sistemi”, che sulla carta concede larga autonomia all'isola.
04 MARZO 2016
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