La guerra commerciale tra Cina e Usa è iniziata: Trump si scaglia contro Pechino, ritenuta responsabile di un deficit commerciale “troppo alto” (375 miliardi di dollari) e di politiche industriali scorrette, pur nutrendo “enorme rispetto” per il presidente cinese Xi Jinping e considerando “amico" il governo cinese. Che oggi, senza abbandonare una posizione di strategica attesa, reagisce affilando le armi. Ha scagliato le prime rappresaglie al risveglio, poche ore dopo l’annuncio dell’amministrazione Usa targata Donald Trump (erano le 17:30 in Italia, notte in Cina) dell’imposizione di dazi su merci cinesi importate per un valore di sessanta miliardi di dollari: il Ministero del Commercio di Pechino promette di rispondere colpo su colpo alle mosse protezionistiche di Trump e valuta l’imposizione di tariffe su 128 prodotti importati dagli Stati Uniti per un valore di tre miliardi di dollari.
Obiettivo? Riequilibrare le perdite derivanti dai dazi del 25% sull’acciaio e del 10% alluminio varati dal governo americano nelle scorse settimane da cui la Cina non è stata temporaneamente esentata, come invece accaduto per Unione Europea, Canada, Messico, Argentina, Australia, Brasile, Corea del Sud. Nel mirino delle contromosse cinesi soprattutto il settore agricolo e gli aerei Boeing. Una misura indiretta e per il momento esigua rispetto all’ultima mossa di The Donald; nei toni, però, il governo cinese pensa a un approccio più duro. “La Cina non auspica di essere in una guerra commerciale, ma non ha paura di essere coinvolta”, ha dichiarato il Ministero del Commercio. Parole ancora più dure quelle dell’ambasciatore cinese a Washington, Cui Tiankai. La Cina, ha detto, “combatterà fino alla fine per difendere i suoi interessi legittimi con tutte le misure necessarie”.
Le due sponde opposte del Pacifico sono scivolate nel terreno delle ripicche. Il clima non è favorito dai vari dossier che dividono Washington e Pechino, da quello nordcoreano alle sottili schermaglie su Taiwan. Ieri un editoriale del Global Times, megafono di Pechino, ha scritto che la Cina deve reagire al Taiwan Travel Act varato dall’amministrazione statunitense, che permette l’invio di personale diplomatico Usa a Taiwan, e deve prepararsi anche a uno “scontro militare diretto” nello stretto di Taiwan (Washington nel 1979 ha riconosciuto “una sola Cina”). L’avvertimento arriva dopo il durissimo monito del presidente cinese, Xi Jinping, che alla chiusura dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo, martedì scorso, aveva dichiarato con toni nazionalistici che qualsiasi sforzo per separare Taiwan dalla Cina è “destinato a fallire” e andrà incontro alla “punizione della Storia”.
Colpito il piano “Made in China 2025”
Trump ha annunciato di aumentare il prelievo del 25% su quei prodotti cinesi che, nella visione di Washington, vengono realizzati sfruttando illegalmente brevetti americani. Il presidente americano ha affidato al rappresentante della sua amministrazione per il commercio, Robert E. Lighthizer, il compito di stilare una lista di articoli che saranno colpiti nei prossimi 15 giorni; la lista finale verrà resa nota dopo un periodo di pubblica valutazione. I settori corrispondono ai dieci comparti strategici del piano “Made in China 2025”, il mastodontico programma di innovazione manifatturiero con cui la Cina punta a diventare leader delle tecnologie avanzate: robotica, aerospazio, veicoli elettrici, IT, ingegneria navale, energia, agricoltura, nuovi materiale, biofarmaceutica, materiale ferroviario.
Trump colpisce al cuore la politica economica di Xi Jinping, il quale – come sottolinea Bloomberg – ha appena vinto una battaglia interna, gode di un vastissimo consenso, e non può mostrarsi debole. La guerra potrebbe essere dolorisissima,
Qual è l’obiettivo finale di Trump? Lo ha spiegato Everett Eissenstat, vice assistente del presidente per l'economia internazionale: “Indurre la Cina a modificare le sue pratiche commerciali sleali”. Gli Stati Uniti accusano Pechino di non trattare equamente le aziende americane, vittime di furto di proprietà intellettuale e il cui ingresso è bloccato in alcuni settori. Temi sui cui Pechino rassicura da tempo con promesse di apertura. La Casa Bianca si aspetta che i nuovi dazi, che potranno arrivare a colpire fino a 1.300 importazioni specifiche, avranno un "impatto minimo" su consumatori, ha sottolineato Eissenstat. Ma i mercati sono già in apprensione: Wall Street ha chiuso in forte perdita, e i timori degli investitori di una guerra commerciale hanno fatto sentire il loro peso anche sui mercati azionari asiatici.
L’inasprimento delle misure è una mossa storica contro quella che la Casa Bianca chiama “aggressione economica”. Trump aveva già chiesto a Pechino di ridurre di 100 miliardi il surplus commerciale. C’è di più: il ministero del Tesoro sta mettendo a punto una serie di misure per limitare gli investimenti cinesi soprattutto nel settore della tecnologia (gli investimenti sono scesi nel 2017 a 30 miliardi dalla cifra record di 45 miliardi nel 2016).
In realtà, come ricorda La Stampa, Pechino aveva già attivato una ritorsione preventiva, dismettendo i titoli di Stato Usa, di cui è principale detentore (a gennaio il calo di 16,7 miliardi di dollari è stato il più pronunciato su base mensile da settembre).
Dalla Corporate America alla Camera di Commercio Usa, sono molte le voci statunitensi contrarie alla mossa di Trump. Il timore è che le misure protezionistiche possano innescare un pericoloso gioco di ritorsioni e perdita di fiducia, nonché di posti di lavoro: secondo uno studio del Council of Foreign Relations, citato da La Stampa, la guerra che Trump pensa di vincere "facilmente" per riconquistare il ceto medio e gli operai in vista delle elezioni di mid-term, rischiano di far perdere nel solo settore auto fino a 40mila posti di lavoro.
Le vecchie armi di Trump
Trump ha più volte puntato il dito contro l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), definita un “disastro per gli Stati Uniti”. Come sottolinea il Sole 24 Ore, proprio al Wto il governo americano vuole rivolgersi per denunciare le presunte pratiche sleali messe in campo dalla Cina.
I dazi verranno imposti nell’ambito della sezione 301 dello Us Trade Act del 1974, focalizzata su merci ad alto contenuto tecnologico. Come sottolineava il Global Times, “Trump sta facendo ricorso a una legge del commercio raramente usata (la sezione 232 di una legge del 1962 mai applicata dal 1995, anno di fondazione del Wto scrive Lettera 43) che definisce le importazioni una minaccia per la sicurezza nazionale. Una clausola pensata per ovviare ai regolamenti dell'Organizzazione mondiale del commercio in situazioni di guerra che apre le porte al caos perché non è un tema su cui esistono criteri oggettivi”.
I passi felpati di Pechino
La posizione cinese diverge da quella Usa (come ricorda il Manifesto): per Trump “le guerre commerciali fanno bene e si possono anche vincere facilmente”, per la Cina "da una guerra commerciale non uscirebbe nessun vincitore". Lo ha ribadito nei giorni scorsi il premier Li Keqiang, il quale ha promesso maggiori aperture ribadendo che Pechino non vuole il deficit commerciale. Lo ha riaffermato giorni fa la portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, facendo eco a quanto dichiarato l’8 marzo dal ministro degli esteri Wang Yi che per primo aveva parlato di “una risposta legittima e necessaria” nel caso di una guerra commerciale, smussando poi i toni nel tentativo di evitare l’escalation.
Piano dazi anti-Usa
Le tariffe, ha spiegato il Ministero del Commercio di Pechino, saranno attuate in due fasi:
- la prima riguarda 120 prodotti soggetti a tariffe del 15%, e che comprendono la frutta, il vino e i tubi di acciaio, che verranno imposte se Pechino e Washington non troveranno una soluzione alle dispute commerciali in corso;
- la seconda fase riguarda l’imposizione di tasse al 25% su otto prodotti, tra cui l’importazione di carne di maiale e di alluminio riciclato, in seguito a una valutazione degli effetti delle politiche commerciali statunitensi.
Secondo la tempistica, occorreranno almeno 45 giorni prima che i dazi oggetto del memorandum presidenziale firmato da Trump, entrino in vigore. Al Dipartimento del Tesoro, Trump ha poi dato sessanta giorni, a partire da oggi, per sviluppare una lista finale sui dazi. Quando i dazi entreranno in vigore, ha dichiarato oggi il vice direttore dell’ufficio per i Trattati e per le Leggi del Ministero del Commercio di Pechino, Chen Fuli, “la Cina restituirà il colpo senza esitazione”.
Dalla soia agli iPhone, le armi di Pechino
La Cina potrebbe aver pronte una serie di contromisure che tuonano minacciose alle orecchie del presidente americano, dai possibili dazi sull'importazione di prodotti agricoli statunitensi, sui quali Pechino ha avviato una inchiesta con l'accusa di dumping, all’arma del debito, di cui la Cina possiede almeno la metà, oltre al blocco delle importazioni di carne.
Il Global Times quasi quotidianamente negli ultimi giorni ha dedicato editoriali al rischio di una guerra commerciale con gli Stati Uniti, senza rinunciare ai toni bellicosi tipici del tabloid di Pechino sui temi di politica estera. In un editoriale comparso oggi online, il giornale pubblicato dal Quotidiano del Popolo, organo di stampa del Partito Comunista Cinese, sostiene che la Cina à pronta per la guerra commerciale, anche se non vorrebbe combatterla. “La Cina è ora costretta a contrattaccare in questa guerra commerciale”, scrive il Global Times. “Washington dovrebbe abbandonare l’idea che la Cina si ritirerà in questa guerra commerciale, perché non troverà bandiere bianche a marcare la resa della Cina. Invece, Washington caricherà ciecamente contro la mantella rossa del torero”.
Mercoledì scorso il giornale cinese aveva aperto alla possibilità di ritorsioni commerciali sulle importazioni di semi di soia dagli Stati Uniti, che nel 2016 hanno raggiunto quota 12,8 miliardi di dollari. In totale, lo scorso anno, l’import cinese ha contato per il 57% delle esportazioni statunitensi di questo legume. L’elenco di merci Usa importate in Cina che possono essere oggetto di ritorsioni sul piano commerciale è, però, molto più lungo: per rimanere nel campo agro-alimentare un colpo all’economia statunitense la Cina potrebbe darlo con le restrizioni alle importazioni di sorgo, già oggetto di indagini anti-dumping da parte del governo, lanciate dopo l’annuncio di dazi del 10% sulle importazioni di acciaio e del 25% sulle importazioni di alluminio da parte dell’amministrazione Trump. Lo scorso anno, gli Usa hanno esportato sorgo verso la Cina per 1,1 miliardi di dollari.
Nell’elenco ci sono gli aerei Boeing, che già lo scorso anno il Global Times suggeriva di sostituire con gli Airbus. Gli aeromobili Boeing sono stati oggetto di un accordo del valore di 37 miliardi di dollari durante la visita di Trump in Cina a novembre scorso, anche se non è apparso immediatamente chiaro quanti di questi ordini fossero effettivamente nuovi. Pechino potrebbe colpire anche nel settore automobilistico: General Motors vende più auto in Cina che negli Stati Uniti e la Cina si è confermata anche lo scorso anno il primo mercato retail per il gruppo automobilistico Usa, a quota quattro milioni di vetture vendute. Nel mirino delle autorità potrebbe finire anche il mondo della tecnologia, lo stesso che Trump intende colpire con i dazi annunciati nelle scorse ore e a farne le spese potrebbe essere la Apple di Tim Cook, da domani a Pechino per il China Development Forum: gli iPhone del gruppo di Cupertino subiscono già oggi la concorrenza dei rivali locali e già in passato sono stati oggetto dell’attenzione delle autorità giudiziarie cinesi con l’accusa di avere violato i diritti dei consumatori cinesi.