La Cina non rimarrà a guardare in caso di una guerra commerciale e avverte gli Stati Uniti che produrrà una “risposta legittima e necessaria” se uno scenario di questo tipo si dovesse verificare. Le guerre commerciali “non sono mai la giusta soluzione”, soprattutto “in un mondo globalizzato”, ha detto il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, durante una conferenza stampa a margine dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, e a pochi giorni dall’annuncio del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump di volere imporre dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio rispettivamente del 25% e del 10%, che ha portato anche a forti divisioni nell’amministrazione da lui guidata. La Cina, ha spiegato Wang, vuole un “dialogo costruttivo” con gli Stati Uniti, quello di “una lunga marcia verso la modernizzazione e non ha la volontà o il bisogno di rimpiazzare l’America” nel suo ruolo a livello globale.
Dialogo Usa-Corea del Nord? “Meglio prima che poi”
Agli Stati Uniti, Wang ha invece chiesto di riprendere il dialogo “meglio prima che poi” con la Corea del Nord, l’altro fronte aperto e in continua evoluzione dopo la distensione olimpica suggellata il mese scorso durante i Giochi Invernali di Pyeongchang, i cui ultimi sviluppi rappresentano “un importante passo nella giusta direzione”. Wang ha difeso la posizione cinese sulla penisola coreana, che aveva illustrato proprio in occasione della conferenza stampa dello scorso anno: la “doppia sospensione” degli esercizi militari congiunti di Usa e Corea del Sud e dei test missilistici e nucleari di Pyongyang, che è d “la giusta ricetta” per riportare la stabilità nella penisola coreana.
La spina nel fianco delle isole contese
Il rapporto tra la Cina e gli Stati Uniti è tornato a più riprese nelle parole del ministro degli Esteri pronunciate in circa due ore di conferenza stampa, iniziata con gli auguri alle donne presenti in sala in occasione della ricorrenza dell’8 marzo. Il rapporto tra Pechino e Washington ha fatto capolino in forma indiretta in molti punti, come quando ha citato “alcune forze esterne” che “provocano problemi” nel Mare Cinese Meridionale, un riferimento alle molte incursioni di cacciatorpedinieri della Marina statunitense nelle acque territoriali delle isole che Pechino rivendica come parte integrante del proprio territorio.
Pronti a essere un partner per l'Unione Europea
Un altro velato riferimento agli Usa Wang lo ha fatto rispondendo a una domanda sui rapporti con l’Unione Europea: il ministro egli Esteri di Pechino ha fatto appello a Bruxelles per “salvaguardare”, assieme alla Cina, “il sistema di commercio globale”. La Cina, ha aggiunto, “è pronta per essere un partner dell’Unione Europea”. Un richiamo molto più diretto al ruolo degli Stati Uniti sullo scacchiere globale è arrivato alla domanda sulla possibile alleanza tra Usa, Giappone, Australia e India, che potrebbe aprire a un progetto infrastrutturale asiatico, o indo-pacifico, termine che piace molto all’amministrazione Trump. Indiscrezioni sul progetto multilaterale, che sarebbe alternativo all’iniziativa Belt and Road per la connessione di Asia, Africa ed Europa lanciata nel 2013 dal presidente cinese, Xi Jinping, erano emerse già il mese scorso, alla vigilia del viaggio a Washington del primo ministro australiano, Malcolm Turnbull. “La posizione ufficiale dei quattro Paesi è che il progetto non prende di mira nessuno”, ha dichiarato Wang. “Mi auguro che lo dicano per davvero”.
Xi "architetto" della Nuova Via della Seta
La Belt and Road e il rapporto con Mosca rappresentano, invece i momenti più sereni della politica estera cinese indirizzata dall’azione di Xi, il vero “architetto” dell’iniziativa diplomatica cinese, come lo ha definito Wang. L’iniziativa lanciata dal presidente cinese, avviene “all’aria aperta”, ha spiegato il ministro degli Esteri. “Non ci sono accordi dietro le quinte e ogni passo è trasparente”. A fare sorridere Pechino è anche il rapporto con la Russia di Vladimir Putin, suggellato anche dal rapporto personale instauratosi tra Putin e Xi. “Il cielo il limite” della cooperazione, anche se “c’è sempre spazio per migliorare ulteriormente la relazione” bilaterale.