La guerra è vicina. La Cina era pronta a mettere in atto misure di ritorsione commerciale “della stessa proporzione” di eventuali dazi statunitensi sui prodotti hi-tech. Non mentiva: la guerra di Pechino colpirà i produttori di soia nel Midwest, cioè la base elettorale di Donald Trump.
Non si è fatta attendere la replica del governo cinese alla contromossa della Casa Bianca, che ieri ha proposto dazi fino al 25% su oltre 1300 prodotti tecnologici importati dalla Cina per un valore di 50 miliardi: il Consiglio di Stato ha pubblicato oggi una lista di 106 prodotti importati dagli Stati Uniti sui quali verranno applicate tariffe dello stesso peso di quelle americane.
Fino al 25% per un valore di 50 miliardi di dollari. Detto, fatto. Lo ha reso noto l’emittente televisiva statale, China Central Television. Nella lista ci sono 14 categorie di prodotti, tra cui i semi di soia - misura di ritorsione ventilata da giorni - in aggiunta a grano, mais, cotone, sorgo, tabacco e carne bovina, il settore automobilistico (trema Tesla), quello aeronautico (Boeing ha perso il 5%) e il settore chimico. Lista che farà malissimo a Donald Trump.
“Non siamo in una guerra commerciale con la Cina”, ha twittato nella serata cinese l'inquilino della Casa Bianca. "Quella guerra - ha però aggiunto - è stata persa anni fa dagli sciocchi, o incompetenti, che hanno rappresentato gli Stati Uniti. Ora abbiamo un deficit commerciale di cinquecento miliardi di dollari all’anno, con furti di proprietà intellettuale di altri trecento miliardi di dollari. Non possiamo permettere che questo continui!".
La Cina ha inoltre lanciato un ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Lo ha reso noto l’agenzia Xinhua, che cita il Ministero del Commercio di Pechino, dopo che nelle scorse ore l’ambasciatore cinese al Wto, Zhang Xiangchen, aveva definito i dazi proposti dagli Usa come una “intenzionale e grossolana violazione” delle regole dell'organizzazione.
Soffrono le borse.L'escalation della guerra commerciale annulla l'effetto positivo del rimbalzo di ieri a Wall Street. In Europa i listini accrescono le loro perdite, mentre Hong Kong cede oltre il 2%. Londra arretra dello 0,34%, Milano dello 0,74%, Francoforte dell'1,09% e Parigi dello 0,5%.
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Se fino a ieri le misure decise da Pechino (3 miliardi) erano state esigue rispetto alle mosse protezionistiche di Trump, in coerenza con una linea che tende a evitare una guerra commerciale, confermata dalle trattative in corso, oggi l'approccio più duro non è più relegato ai toni ma si è concretizzato nell'incubo degli agricoltori americani.
La soia, dopo la carne di maiale, era l’arma che Pechino era pronta a brandire qualora Washington avesse annunciato pesanti tariffe punitive contro i presunti furti di proprietà intellettuale. Un'arma che colpisce molti stati produttori, soprattutto nel Midwest, tra cui Illinois, Iowa, Missouri e Ohio, gli stati dove si gioca il futuro politico del presidente americano nel 2020. La Cina è il primo importatore dagli Usa di questo prodotto (14 miliardi di dollari) ma l’imposizione di dazi, oltre a colpire i produttori americani, potrebbe avere ripercussioni anche sui consumatori cinesi: dalle tariffe potrebbe derivare un ammanco di semi di soia sul mercato interno cinese stimato in dieci milioni di tonnellate dagli esperti dell’associazione di categoria, lo Us Soybean Export Council. Le rappresaglie di Pechino colpiscono anche il settore auto (10,5 miliardi) e l’aviazione civile (16,3 miliardi).
La reazione cinese era stata preannunciata nelle ultime ore dagli inferociti organi di stampa. Gli Stati Uniti dovranno pagare “a caro prezzo” una guerra commerciale con la Cina, aveva scritto uno dei più influenti giornali cinesi, il Global Times, costola del Quotidiano del Popolo, noto per le posizioni oltranziste, in un editoriale pubblicato online. Il direttore del tabloid, Hu Xijing, molto attivo sui social network, aveva eloquentemente twittato qualche ora fa: “Sulla base delle informazioni che ho ricevuto, il massiccio piano di cinese in rappresaglia delle tariffe Usa sarà pubblicato nel pomeriggio cinese”.
Nella mattina di oggi, ora locale, alla notizia della pubblicazione della lista di oltre 1300 prodotti di importazione cinese da parte degli Stati Uniti, il Ministero del Commercio di Pechino aveva espresso “forte condanna” e “ferma opposizione” a quella che considera una misura “unilaterale e protezionistica” degli Stati Uniti. Promettendo contromisure “di eguale portata e forza”, in base alla legge cinese. A breve giro di posta.
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La lista pubblicata dallo Us Trade Representative prende di mira soprattutto i prodotti tecnologici importati dalla Cina (aerospazio, tecnologie per le comunicazioni e per l’informazione, robotica, macchinari, semiconduttori), oggetto di indagini per sospette violazioni di proprietà intellettuale in base alla sezione 301 dello Us Trade Act del 1974, decise dall’amministrazione guidata da Donald Trump, nell’agosto scorso. L'elenco, che comprende prodotti chimici industriali, medicinali e metalli, deve ancora essere ultimato (è stata programmata un'audizione pubblica in materia per il prossimo 15 maggio) ed è considerato la risposta al presunto furto cinese di segreti industriali, con violazione della proprietà intellettuale di software, brevetti e tecnologia "Made in Usa".
Le tariffe vanno a colpire il cuore della riforma economica del presidente cinese Xi Jinping: i dieci settori innovativi del programma “Made in China 2025”, varato dal governo cinese nel 2015, e che prevede l’ammodernamento dell’apparato industriale cinese.
La nuova lista cinese di 106 prodotti va ad aggiungersi alle tariffe ufficializzate domenica scorsa su 128 prodotti americani, tra cui la carne di maiale, il vino e la frutta, minacciando di colpire i produttori del Midwest. I controdazi giungevano in risposta ai dazi americani del 20% sulle importazioni di acciaio e del 25% su quelle di alluminio, mentre si attendeva che l’annuncio di Trump di nuove tariffe legate alle dispute sulla proprietà intellettuale venisse ufficializzato entro il fine settimana. L’ufficializzazione è arrivata molto prima: ieri.
Trump non ha mai smesso di nutrire “enorme rispetto” per il presidente cinese Xi Jinping, al quale ha chiesto di riequilibrare il deficit giudicato inaccettabile (375 miliardi di dollari). Ad aizzare l’ira di Trump le politiche industriali cinesi che Washington reputa scorrette.
Pechino ha sempre detto di non volere una guerra commerciale ma di essere pronta a rispondere nel caso in cui dovesse verificarsi. Lo ha ribadito poco fa il vice ministro del Commercio cinese, Wang Shouwen, durante una conferenza stampa congiunta con il vice ministro delle Finanze, Zhu Guangyao, indetta dopo la pubblicazione della lista. "Se si vuole combattere una guerra commerciale, noi ci saremo. Se si vuole negoziare, la porta è aperta", ha dichiarato Wang. “Il deficit non è deciso dai governi, ma dalla struttura economica e competitiva dei Paesi”, ha poi detto il vice ministro.
Infine arriva da Pechino un messaggio di responsabilità per i mercati finanziari: la Cina non ha mai ceduto a “pressioni esterne” nel corso della sua storia e rimane “un investitore responsabile”, ha dichiarato invece Zhu Guangyao, sull'ipotesi che Pechino possa far leva sul debito pubblico, di cui è principale detentore.
@ASpalletta