Meglio un cattivo accordo, o quantomeno non un grande accordo, che nessun accordo, con il rischio di rimandare il problema di altri dieci anni o forse più. Con questa presa di posizione, il Vaticano sarebbe pronto a firmare l’intesa con Pechino sulla nomina dei vescovi che fungerebbe da apripista per la ripresa delle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese.
La storica firma potrebbe avvenire dalla fine di marzo in poi, secondo quanto dichiarato al Corriere della Sera da una fonte vaticana, dopo la conclusione dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, che si apriranno il 5 marzo prossimo e che proseguiranno, come ogni anno, per circa due settimane.
L’accordo con la Cina sarebbe “un cattivo accordo”, ha dichiarato una fonte vaticana al Corriere della Sera, “perché i cinesi hanno il coltello dalla parte del manico e ogni volta che noi cattolici lo afferriamo, sanguiniamo”, come contropartita il governo cinese accetta che la Chiesa entri nelle questioni religiose, una cosa “mai ammessa prima”: non stringere un accordo adesso, quindi, potrebbe rendere più difficile il dialogo in futuro.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche altre dichiarazioni rese alla stampa internazionale da funzionari vaticani. L’intesa raggiunta finora non sarebbe “un grande accordo”, ha spiegato una fonte vaticana all’agenzia Reuters all’inizio di febbraio, “ma non sappiamo quale potrebbe essere la situazione nei prossimi dieci o venti anni”.
L’accordo sarebbe vicino anche per il Wall Street Journal, che ha citato una fonte al corrente delle trattative tra Pechino e la Santa Sede, perché Papa Francesco avrebbe deciso di accettare la legittimità di sette vescovi cattolici nominati dal governo cinese per favorire il processo di riconoscimento del pontefice stesso come capo della Chiesa Cattolica in Cina.
Per il vescovo emerito di Hong Kong, così la Chiesa si "svende"
Proprio il riconoscimento dei vescovi nominati da Pechino da parte della Chiesa di Roma è stato il caso che ha fatto maggiormente discutere nelle scorse settimane e che ha fatto infuriare uno storico oppositore dell’accordo tra Cina e Vaticano, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun: il vescovo emerito di Hong Kong si è recato in Vaticano, secondo quanto scrive lui stesso in una lettera aperta pubblicata dal sito web Asianews.it, per chiedere lumi al Papa sulla decisione di rimuovere due vescovi cinesi della Chiesa clandestina per fare posto ad altrettanti vescovi graditi a Pechino.
L’accordo sarebbe “una catastrofe”, almeno per i milioni di cattolici in Cina rimasti fedeli alla Chiesa di Roma e riuniti nella Chiesa clandestina. Il vescovo emerito di Hong Kong, che si definisce “il maggiore ostacolo” all’accordo, ha accusato la Chiesa di “svendersi” ai desiderata di Pechino e nel suo ultimo intervento pubblico, ripreso dall’Associated Press, ha anche duramente attaccato il cardinale Pietro Parolin, che ha definito “un uomo di poca fede” che non capisce la “reale sofferenza” dei cattolici cinesi.
Il segretario di Stato Vaticano, pochi giorni prima, intervistato da Vatican Insider, aveva affrontato il problema dell’accordo con Pechino e della divisione dei cattolici in Cina, tra i fedeli alla Chiesa clandestina e i fedeli alla Chiesa patriottica, che agisce con il benestare delle autorità cinesi.
Per Parolin, “non si tratta di mantenere una perenne conflittualità tra principi e strutture contrapposti, ma di trovare soluzioni pastorali realistiche che consentano ai cattolici di vivere la loro fede e di proseguire insieme l’opera di evangelizzazione nello specifico contesto cinese”.
L’accordo in vista tra Cina e Vaticano ha fatto inarcare i sopraccigli anche degli esperti statunitensi perché concederebbe “un ruolo significativo al regime comunista cinese nella nomina dei vescovi cattolici romani in Cina”, secondo quanto scrive Foreign Policy.
Perché firmare un accordo del genere? Dopo l’excursus storico che prende in considerazione vari momenti della storia della Chiesa, dalla breccia di Porta Pia a oggi, la conclusione del magazine statunitense è che “la diplomazia vaticana poggia su fondamenta traballanti e insicure” e su quelle che definisce “fantasie che la Santa Sede nel ventunesimo secolo possa agire a livello internazionale come se fosse il 1815, quando il cardinale Ettore Consalvi, il capo della diplomazia di papa Pio VII, è stato un attore significativo al Congresso di Vienna”, che ha stabilito l’ordine in Europa dopo la caduta di Napoleone. L’accordo sarebbe una mossa di realpolitik, secondo secondo Foreign Policy, ma “queste fondamenta traballanti e questa fantasia non sono una ricetta per il successo diplomatico”.
La diplomazia dell'arte
I contatti tra Pechino e la Santa Sede sono, però, già oggi una realtà. L’opera di avvicinamento si compie in quella che è nota come la “diplomazia dell’arte” e che vede nello scambio di mostre dal tema “La bellezza ci unisce” il punto più alto: nella primavera di quest’anno i Musei Vaticani metteranno in mostra quaranta opere d’arte cinesi, e contemporaneamente alla Città proibita, l’antica sede imperiale cinese, sarà possibile ammirare quaranta opere dei Musei Vaticani.
Un ponte culturale che, oggi, sembra essere il preludio del più vasto accordo tra Cina e Vaticano e che Taiwan osserva da tempo con preoccupazione. Taipei conta oggi venti alleati diplomatici, e la dipartita del Vaticano costituirebbe la perdita dell’unico alleato in Europa e la più grave perdita nelle relazioni estere dopo l’annuncio del presidente di Panama, Juan Carlos Varela, nel giugno scorso, del riconoscimento diplomatico della Cina con capitale Pechino, e la conseguente chiusura dell’Ambasciata a Taipei, ovvero nella Repubblica di Cina, con cui Panama aveva stretto rapporti già nel 1912. La maggiore parte di alleati diplomatici dell’isola sono in America centrale, nei Caraibi e nel Pacifico: in Africa sono rimasti due soli Paesi, Burkina Faso e Swaziland, a riconoscere Taipei.
Le ansie di Taipei, sempre più sola
Ancora oggi, il Ministero degli Esteri di Taipei ha difeso i propri sforzi diplomatici e ha ribadito che continua a monitorare il dialogo tra Cina e Vaticano: i legami tra Taipei e Città del Vaticano rimangono “forti e stabili”, ha fatto sapere il portavoce, Andrew Lee, dopo le indiscrezioni comparse sul Corriere della Sera. Taiwan, ha aggiunto, punta a diventare “partner insostituibile” del Vaticano nelle questioni di assistenza umanitaria.
I colloqui tra Pechino e la Santa Sede sono focalizzati soprattutto su questioni religiose più che politiche, anche se secondo quanto rivelato da un alto prelato al Corriere della Sera, “é logico che la tappa successiva sarà, prima o poi, la distensione diplomatica”, dopo la rottura dei rapporti nel 1951, due anni dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese da parte di Mao Zedong.
Proprio quel “prima o poi”, nella firma dello storico accordo è stato al centro di un editoriale di uno dei più influenti giornali cinesi, il Global Times, che il 6 febbraio scorso dichiarava di confidare nella “saggezza del Papa” per trovare una soluzione alle divisioni che intercorrono con Pechino. La Cina e il Vaticano “stabiliranno relazioni diplomatiche prima o poi”, aveva scritto il giornale. “Papa Francesco è un’immagine positiva per il pubblico cinese.
Ci si aspetta che porti avanti i legami Cina-Vaticano e risolva i relativi problemi con la sua saggezza”. La questione di Taiwan rimane, invece, sullo sfondo per il tabloid di Pechino, “perché la mainland ha molti strumenti per esercitare pressione su Taiwan”.
Dopo la decisione di Panama di lasciare Taiwan per la Cina, molto sofferta per Taipei, dal momento che non si trattava di un ri-allacciamento dei legami diplomatici, ma di un inizio di rapporti dello Stato centro-americano con la Repubblica Popolare Cinese, ora Taiwan teme di perdere anche l’alleato di maggiore peso.
Solo pochi mesi fa, la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, aveva invitato Papa Francesco sull’isola: a settembre scorso aveva formulato l’invito al cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, giunto sull’isola per il ventiquattresimo Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare, che si è svolto nella città portuale di Kaohsiung.
Prima ancora, il 20 gennaio dello scorso anno, a poche ore dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, Tsai aveva inviato una lettera a Papa Francesco dichiarando di impegnarsi per “una nuova era di pace con Pechino”, sottolineando la “stretta cooperazione” nei rapporti tra Taiwan e il Vaticano fondati sui “valori comuni della democrazia, della libertà e dei diritti umani”. Entrambe le mosse, però, sono rimaste senza risposta ufficiale.