Da oggi i pescherecci di cinque Paesi europei non hanno più il diritto di gettare le reti nelle acque territoriali britanniche. Questo l'effetto del ritiro unilaterale di Londra dalla London Fisheries Convention, un accordo firmato nel 1964 che consente alle imbarcazioni irlandesi, francesi, tedesche, belghe e olandesi di pescare nei tratti di mare tra le sei e le dodici miglia nautiche dalle coste britanniche. E viceversa. Ad annunciarlo è stato il ministro dell'Ambiente britannico, Michael Gove, durante un'intervista alla Bbc. "Per la prima volta in oltre cinquant'anni saremo in grado di decidere chi può accedere alle nostre acque", ha dichiarato. Si tratta di un ritiro "transitorio", che durerà i due anni necessari a concludere il lungo e faticoso cammino negoziale della Brexit, consumatasi la quale il Regno Unito uscirà anche dalla 'Common Fisheries Policy' europea, che consente invece di pescare tra le 12 e le 200 miglia nautiche dalle coste di un altro Stato membro (ovvero nella cosiddetta "zona economica esclusiva").
Il divorzio della Gran Bretagna dal Bruxelles inizia quindi dalla pesca, almeno da un punto di vista simbolico. La London Fisheries Convention non fa infatti parte dei trattati europei, essendo stata siglata due anni prima dall'inizio del Regno Unito dall'Unione Europea. Recuperare la sovranità sui tonni e i merluzzi che nuotano nelle acque d'Albione era stato però uno dei punti sui quali più avevano insistito i sostenitori del 'Leave' in campagna elettorale, incluso Gove che - insieme al ministro degli Esteri, Boris Johnson - faceva e fa parte dell'ala dei 'falchi' del governo May, dei fautori della 'hard Brexit'. Il ritiro dalla convenzione, soprattutto dopo una tornata elettorale assai deludente per i 'tories', sembra quindi rispondere soprattutto a logiche di politica interna. La revisione dei trattati tra Londra e la Ue sarà un processo estremamente lungo e difficile. Ritirandosi dalla London Fisheries Convention, l'esecutivo dà però l'impressione a chi aveva votato 'Leave' di aver fatto un primo passo concreto verso la rottura, pazienza se per il prossimo occorrerà attendere il marzo 2019.
Nei mesi precedenti il referendum, i pescatori erano stati inoltre tra le categorie che più avevano sostenuto la battaglia per la Brexit. Nigel Farage, ex leader del partito anti-Ue Ukip, aveva addirittura guidato una piccola flotta di pescherecci lungo il Tamigi, lamentando quanto il settore ittico britannico fosse stato "letteralmente distrutto" dall'adesione alla Ue. Numeri alla mano, la quota di pesce britannico caricata da imbarcazioni straniere è però piuttosto minoritaria: si tratta di 10 mila tonnellate all'anno, considerando i dati del 2015, contro le 708 mila tonnellate raccolte dai pescherecci di Sua Maestà. Stizzite le prime reazioni dei partner. Il ministro dell'Agricoltura irlandese, Michael Creed, ha tuonato contro una decisione "infelice e non d'aiuto". "La Brexit pone problemi molto seri al settore ittico e questo annuncio entrerà nei negoziati". Tradotto: ve la faremo pagare. E al tavolo delle trattative.