Il cammino dell'umanità è fatto di corsi e ricorsi storici. La grande intuizione filosofica di Gambattista Vico si ripropone con tutta la sua forza in questi giorni, in queste ore. Il presidente Donald Trump si trova indagato per 'ostruzione alla giustizia' per coprire il cosiddetto 'Russiagate'. Questo accade esattamente 45 anni dopo il più clamoroso caso di spionaggio della storia americana che divenne universalmente noto come il 'caso Watergate' e portò alle dimissioni di un altro presidente, Richard Nixon.
Nixon e Trump, la storia sembra ripetersi
Un presidente, forse all'oscuro di un'operazione di spionaggio, si adoperò con tutte le sue forze per coprire la vicenda, al punto da licenziare il procuratore che indagava. Un'azione definita 'criminale' che, anche grazie alla campagna stampa del Washington Post, portò all'accusa di aver ostacolato la giustizia. Una sorta di anticamera all'impeachment. Il presidente si chiamava Richard Nixon e non subì l'onta dell'impeachment perché preferì dimettersi. Era il 1974.
Per approfondire: similitudini e differenza tra Watergate e Russiagate
Oggi, nel 2017, la storia sembra ripetersi. Il licenziamento in tronco del direttore dell’Fbi, James Comey, da parte di Donald Trump continua a evocare lo scandalo del Watergate e la stampa si è scatenata, richiamando alla memoria similitudini con il terremoto che, iniziato con la scoperta nel 1972 di un’intrusione nel quartier generale dei Democratici a Washington, portò due anni più tardi il presidente a lasciare la Casa Bianca.
Tutto iniziò la notte del 17 giugno 1972
Alle 2.30 del mattino del 17 giugno 1972 una donna telefona alla polizia è dice di vedere delle strane luci, in piena notte, provenienti da un appartamento di fronte al suo, nel Watergate. Si tratta di un complesso a forma di onda posto lungo la riva del fiume Potomack, a Washington, grosso modo tra il Dipartimento di Stato ed il quartiere di Georgetown. Un comprensorio di appartamenti e uffici che ospita un albergo.
Nel 1972 uno degli uffici è occupato dalla sede del Comitato Nazionale del Partito Democratico, che punta a strappare la Casa Bianca a Richard Milous Nixon, l'uomo del Vietnam e dei bombardamenti al napalm. Sarà invece lui, Nixon, a vincere quell'anno con una affermazione a valanga sull'iperliberale George McGovern: 60 per cento del voto popolare e tutti i grandi elettori in palio, tranne la manciata di quelli che vengono dal Massachussetts, l'unico stato dell'Unione che va ai democratici.
Ma il baco che avrebbe portato alla rovina quella vittoria storica ed il suo artefice inizia a guastare la mela quella notte.
Beccati con le 'mani nella marmellata'
Alle 2,30 del mattino, dopo una telefonata alla polizia, dentro l'ufficio, con le mani nella marmellata, si fanno beccare in cinque: tre esiliati cubani (una costante, quando si tratta di storiacce di complotti nell'America di quegli anni) più un cittadino americano di origini cubane e un misterioso quinto uomo. Si sono portati dietro tutto un armamentario di macchine fotografiche, attrezzi da scasso e persino penne che sparano gas lacrimogeno. Una circostanza, quest'ultima, che rende veramente poco credibile la giustificazione che lì per lì loro forniscono ai poliziotti, e cioè che sono idraulici, e che sono intervenuti su segnalazione di una perdita d'acqua. Infatti gli agenti chiedono l'indirizzo, e loro sono costretti a fornire quello di un motel in Virginia, giusto sull'altra riva del Potomack. Segue doverosa perquisizione, salta fuori del sofisticato - per quei tempi - materiale elettronico.
Chi è il quinto uomo
Ma è il nome del capo del gruppo che attira subito l'attenzione: il quinto uomo si chiama James McCord, un ex agente della Cia. Soprattutto, McCord lavora come coordinatore per la sicurezza del Comitato per la Rielezione di Richard Nixon. Non ci vuole un'aquila per capire in quale contesto si sia verificata la fantomatica perdita d'acqua nella sede dei democratici.
Tutti gli uomini del Presidente
La storia, sulle prime, comunque filtra alla stampa come un fatto secondario di cronaca: cinque ladri ed un colpo sbagliato. Roba da 'Soliti Ignoti'. Nell'ambiente della stampa, ed in particolare al Washington Post, qualcuno è divenuto un'icona del giornalismo mondiale (anche grazie al film di Alan Pakula del 1976 con Dustin Hoffman e Robert Redford: 'Tutti gli uomini del Presidente'), grazie all'imperizia di McCord e dei suoi amici cubani: Robert Woodward e Carl Berstein allora erano due ragazzi di bottega, cui fu affidata la storia perché facessero della doverosa esperienza. Ne fecero moltissima.
Se è sbagliato ritenere che fossero le loro sole rivelazioni a portare Nixon alle dimissioni per evitare l'impeachment, è sicuramente vero che il loro lavoro tenne alta l'attenzione, stimolò la politica, fece riflettere milioni di persone. Il che, poi, è il vero scopo del miglior giornalismo.
L'errore di Richard Nixon
La storia personale dei cinque arrestati, divenuta di fatto secondaria man mano che si scopriva che Nixon non era direttamente dentro i fatti, ma che si era messo da solo nei pasticci cercando pervicacemente di coprire tutto, persino licenziando un direttore dell'Fbi, finisce relativamente presto. Nel gennaio successivo all'arresto, mentre un Nixon ancora trionfante giura da presidente riconfermato, loro si dichiarano colpevoli di fronte al giudice, e incassano la doverosa condanna. Non senza aver scoperto, però, numerosi altarini, anche per la gloria di Bernstein e Woodward. Il quale Woodward è rimasto fedele nei secoli al giornale che gli ha dato tanto, al punto da riscriverne, nei mesi scorsi, il motto. Questo:
Il benvenuto a Donald Trump ed ai suoi tweet, che vorrebbero sostituire gli articoli dei giornali. Donald Trump: anche lui sfiorato dalle ombre, anche lui un presidente che ha cacciato, come Nixon, un direttore dell'Fbi.
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