Roma - Finito l'incubo per i due tecnici italiani rapiti il 19 settembre in Libia: Danilo Calonego, Bruno Cacace, e il loro collega italo-canadese Frank Poccia sono stati liberati nella notte nel sud del Paese. La Farnesina ha riferito che i due hanno già fatto rientro in Italia nelle prime ore di sabato con un volo dedicato. "Stiamo bene e non abbiamo subito violenze", sono state le loro prime parole, secondo quanto ha fatto sapere l'Unità di Crisi. Gli ex ostaggi potrebbero essere stati vittima di una rapina degenrata in sequestro, come hanno ipotizzato loro stessi parlando col pm Sergio Colaiocco, titolare dell'inchiesta aperta il 19 settembre scorso per sequestro di persona con finalità di terrorismo.
La soddisfazione del ministro Pinotti, "segno che lo Stato c'è"
Cacace, 56 anni, e Calonego, di 66, e il collega Poccia, tutti dipendenti della società piemontese Conicos, erano stati sequestrati a Ghat, nel sud del Paese, nei pressi del cantiere dove lavoravano da un gruppo armato che aveva bloccato la vettura sulla quale viaggiavano poco distante dal confine con l'Algeria e il Niger. Si tratta di un'area desertica, la provincia di Fezzan, dove il controllo di Tripoli è limitato e sono attivi diversi gruppi armati.
La vicenda -si legge in una nota del ministero degli Esteri- si è conclusa grazie alla efficace collaborazione delle autorità locali libiche. Una fonte libica ha riferito che a liberare i tre sarebbero state le forze di sicurezza del Consiglio presidenziale della Libia, in un'operazione condotta dalla sua intelligence.
Calonego, Cacace e Poccia erano stati presi in ostaggio a Ghat il 19 settembre scorso nei pressi del cantiere dove lavoravano da un gruppo armato che aveva bloccato la vettura sulla quale viaggiavano. Al pm Colaiocco hanno spiegato che, "con molta probabilità", sono stati vittime di una rapina trasformatasi poi in un rapimento. Quel giorno, infatti, era prevista la consegna finale dei lavori dell'aeroporto di Ghat da parte della Conicos: una cerimonia in 'pompa magna' era in programmata alla presenza delle autorità del governo di Tripoli. E il manager libico della stessa azienda era sul posto già dal giorno prima per poter prendere parte alla kermesse.
Stando a quanto fatto mettere a verbale dai tre ex ostaggi, la banda di criminali comuni, che ha gestito il sequestro, era convinta, grazie alle indicazioni del suo basista, che sull'auto dove viaggiavano Colanego, Cacace e Poccia ci fosse proprio il manager con in tasca i soldi 'cash' legati al pagamento dell'ultimo stadio dell'avanzamento dei lavori. Una valutazione rivelatasi errata percé su quell'auto non c'era né il manager della Conicos né tantomeno i soldi.
"Ma non è lui", avrebbe detto ad un certo punto uno del gruppo dei criminali quando si è accorto che sulla vettura non c'era il dirigenteche andavano cercando. A riprova, poi, che il sequestro non sia stato pianificato ma sia stato il frutto di una improvvisazione è il fatto che i tre ostaggi, nelle prime quattro notti, sono stati trasferiti in altrettanti covi. E solo dalla quinta notte in poi sono stati tenuti in un'unica casa, dove sono stati trattati bene (mangiando pure tre volte al giorno) per tutta la durata del sequestro. Se il rapimento fosse stato studiato nei minimi dettagli, la banda non avrebbe avuto la necessità di far spostare gli ostaggi di continuo con il rischio di farsi sorprendere dalle forze di sicurezza libiche.
Cacace è residente a Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, ma vive in Libia da 15 anni, mentre Calonego risiede nella provincia di Belluno. Il loro sequestro ha tenuto in ansia per 47 giorni in Paese. "Sono felice per questa bella notizia che ci dà sollievo dopo tanti giorni di apprensione" per Cacace, ha dichiarato il sindaco di Borgo San Dalmazzo, Gian Paolo Beretta, "organizzeromo una bella festa". "Finalmente è un buongiorno", ha commentato Daniela Calonego, sorella di Danilo, "so che mio fratello è libero e sono felice. Non l'ho ancora sentito. Aspettiamo tutti il suo ritorno".
Nella regione del rapimento non risulta la presenza dell'Isis, ma vi sono tribù e milizie che si sono sostituite allo Stato e rapiscono a scopo di estorsione o per risolvere problemi con le entità statali. Le fonti libiche, a cominciare dalle autorità locali -in prima linea il sindaco della città di Ghat- hanno sempre parlato di criminalità comune. E anche il governo italiano -che peraltro, considerata la delicatezza della situazione, aveva chiesto subito il massimo riserbo- aveva detto di non ritenere l'episodio collegato alla missione italiana nel Paese africano ma a un'azione di criminalità comune.
A metà ottobre una fonte della sicurezza algerina fece sapere che i due italiani e il canadese erano presumibilmente nelle mani di un gruppo estremista composto di libici e algerini e guidato da un algerino, di nome Abdellah Belakahal. legato ad al-Qaeda nel Maghreb (Aqmi): un trafficante di droga, senza alcuna motivazione politica. Secondo la fonte, il gruppo aveva chiesto 4 milioni di euro per i tre ostaggi. Le autorità algerine, che hanno stretti contatti con le tribù di Tuareg e Toubou della regione, sarebbero state sollecitate dall'Italia per facilitare i negoziati con i rapitori. La fonte della sicurezza algerina aggiunse che il gruppo di Belakahal aveva minacciato di "consegnare gli ostaggi a una cellula di Aqim e all'Isis"; e che il gruppo aveva chiesto, oltre al riscatto, anche il rilascio di due detenuti, tra cui il fratello di Belakahal, in carcere per traffico d'armi.