di Fabio Greco e Marco Pratellesi
Roma - Il caso di Giulio Regeni ha fatto "impazzire" le autorità del Cairo, che proseguono nel giro di vite sul "Coordinamento egiziano per i diritti e le libertà", i cui legali sono consulenti della famiglia del ricercatore italiano scomparso il 25 gennaio scorso nella capitale egiziana e trovato morto il 3 febbraio. "Ci temono", ha spiegato all'AGI Ahmad Abdullah, il capo della ong, i cui uffici dell'organizzazione non governativa sono stati perquisiti questa mattina alle 10.30 (ora locale) da funzionari che hanno affermato di agire per conto del ministero degli Investimenti. Nel mirino dell'operazione vi era Mohamed Lofty, il direttore esecutivo della stessa organizzazione, protagonista insieme a Abdullah della campagna con cui da mesi dentro e fuori dal paese arabo si cerca di far luce sulle circostanze della morte del ricercatore, molto probabilmente torturato nelle celle del regime guidato dal 2013 da Abdel Fattah al Sisi. Mohamed Lofty non era presente nel momento della perquisizione, e al suo posto è riuscito a inviare un legale.
"I quattro funzionari - ha raccontato Abdullah - hanno detto di avere il diritto di perquisire la sede; a quel punto l'avvocato ha chiesto che gli venissero mostrati un mandato e documenti per l'identificazione, ma loro si sono rifiutati. Crediamo - ha proseguito - che almeno uno di loro fosse un poliziotto poiché nel suo telefono cellulare c'era una foto che lo ritraeva vestito in uniforme da agente". Il timore del presidente del Coordinamento egiziano è che la ong, che ha rivelato la sparizione di almeno 912 persone da agosto del 2015, possa far la fine di altre tre importanti organizzazioni non governative i cui fondi sono stati congelati dalle autorità. "Da quando abbiamo dato il via alla campagna contro le sparizioni - spiega Abdullah - ci temono, e fanno di tutto per isolarci. Ma dopo il caso di Giulio sono letteralmente impazziti e vogliono intimorirci, facendoci sapere che le nostre parole hanno un prezzo molto alto". (AGI)