Brasilia - La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, e' stata destituita dal Senato che si e' espresso con 61 voti a favore contro 20. Adesso il potere viene assunto in maniera definitiva dal suo ex vice divenuto principale rivale, Michel Temer.
Ascesa e caduta della "dama di ferro"
Il voto del Senato ha sancito la fine della presidenza Rousseff e di tredici anni di governo di centro-sinistra che hanno visto il Brasile vivere prima un miracolo economico e poi una profonda recessione dalle cause molteplici e non certo del tutto attribuibili a un 'Partido dos Trabalhadores' nel gorgo di uno scandalo per tangenti che ha drenato dal colosso energetico statale Petrobras fondi per circa due miliardi di dollari.
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Petrobras, macchia da 2 miliardi sul 'lulismo'
Rousseff, combattiva fino alla fine, lunedi' aveva definito il procedimento "l'elezione diretta di un governo usurpatore", paragonando la sua messa in stato di accusa a un colpo di Stato. La prima donna alla guida del Brasile e' accusata di aver manipolato illegalmente i conti pubblici e di aver distolto fondi dalle banche statali per finanziare, senza passare per il Parlamento, i programmi di spesa sociale in modo da assicurarsi la rielezione a fine mandato. Questi versamenti "anticipati" e non coperti da legge di bilancio sono in realta' prassi comune nel paese sudamericano, dove vengono definiti 'pedaladas' e non ne furono esenti ne' Lula ne' il suo predecessore socialdemocratico, Fernando Henrique Cardoso. Nel loro caso, pero', si tratto' di poche centinaia di milioni di real, che potevano anche passare come errore contabile. Alla fine del 2014, invece, le 'pedaladas' attribuibili al primo governo Rousseff avevano toccato, scrive il 'Financial Times', i 52,2 miliardi di real, circa 15 miliardi di euro al cambio attuale. E i trucchi contabili sono un tema particolarmente sentito in Brasile, la cui brillante performance economica dei primi anni duemila si baso' sul consolidamento del bilancio avvenuto negli anni '90, che freno' la corsa dell'inflazione.
La poltrona di Rousseff va dunque al vice presidente Michel Temer, 75 anni. Presidente ad interim dallo scorso maggio, il leader dell'opposizione di centro-destra del Pmdb conta gia' di presentarsi al G20 di Hangzhou del 4 e del 5 settembre con un incarico ufficiale che conta di mantenere fino al 2018. Temer non si trovera', pero', certo ad avere a che fare con un'eredita' facile e non solo perche' il suo nome e' stato fatto piu' volte dai pentiti coinvolti nell'inchiesta Petrobras, sebbene nessun procedimento sia stato ancora aperto nei suoi confronti (a differenza di quanto avvenuto al presidente della Camera, Eduardo Cunha, che fu tra i principali promotori dell'impeachment contro Rousseff e fu poi costretto a dimettersi a luglio con l'accusa di corruzione). Il Brasile di oggi non e' piu' quello del primo mandato di Lula, che tiro' fuori dalla poverta' 29 milioni di concittadini. Negli ultimi due anni il Brasile e' infatti divenuto il "grande malato" dell'economia mondiale, con un calo del Pil pari al 7% nel biennio 2015-2016 (il peggiore da 80 anni), una disoccupazione record (l'11,60% a luglio), un'inflazione che lo scorso inverno ha superato il 10%, toccando i massimi da 13 anni. Tale crisi e' frutto di diversi fattori incrociatisi in una vera e propria 'tempesta perfetta'. In primo luogo ha pesato il crollo dei prezzi delle materie prime che ha colpito Petrobras, primo investitore pubblico del Paese, e aggravato le conseguenze del calo della domanda di soia e zucchero dalla Cina. Cio' si e' accompagnato a un forte aumento della spesa pubblica che ha fatto salire il debito pubblico lordo verso il 70% del Pil, che sembra gestibile rispetto a quelle registrate da Italia o Giappone. A differenza di Roma e Tokyo, Brasilia sconta pero' un tasso di interesse salito sopra il 14% per contrastare l'inflazione, ovvero costi di servizio del debito decisamente elevati. Tassi cosi' alti, inoltre, hanno costretto le banche statali a offrire ai clienti prestiti a un costo 'calmierato', che ha eroso ulteriormente i fondi disponibili per gli investimenti pubblici, particolarmente urgenti in campo di infrastrutture.
A questo quadro si e' aggiunto il tonfo del real avvenuto tra il secondo semestre del 2015 e il primo semestre di quest'anno (tendenza invertitasi negli ultimi mesi), che ha aumentato i costi delle importazioni e, di conseguenza l'inflazione, ponendo un freno a una crescita che era stata basata soprattutto sui consumi privati, sempre piu' compressi dalla flessione dei salari reali. (AGI)