Roma - Oggi al centro di polemiche, in realtà il burkini è nato agli inizi del 2000 in Australia, frutto dell'ingegno di un'immigrata libanese decisa a realizzare un costume per la nipote che le permettesse comodamente di giocare a pallacanestro senza violare la morale islamica.
Come racconta il Washington Post, un indumento simile all'epoca non c'era e Aheda Zanetti, nata nella libanese Tripoli ma trasferitasi in Australia all'età di 2 anni, decise di crearlo lei. Nacque così l'hijood, unione di 'hijab', il velo islamico, e 'hood', mantello, il prototipo del moderno burkini. La reazione positiva suscitata spinse Aheda ad avviarne il commercio, creando nel 2004 l'azienda Ahiida. Da lì ai costumi da bagno, il passo fu breve. Dall'unione di burqa e bikini naque il burkini.
"E' solo un nome che ho inventato, non significa niente", ha spiegato, parlando di un semplice 'due pezzi' islamico, "ma così suona stupido". La svolta ci fu nel 2007 quando, in seguito alle tensioni a Sydney tra musulmani e australiani, un'associazione no profit, la Surf Life Saving Australia, lanciò una campagna per trovare musulmani da prendere come bagnini sulle spiagge della città, un modo per aiutare l'integrazione. Il problema era trovare bagnine di fede islamica: i costumi solitamente usati dalle colleghe in Australia, infatti, non andavano bene, nonostante alcuni tentativi fatti negli anni passati.
Da qui, la fortuna della Zanetti che, contattata dall'associazione, modificò il costume per renderlo adatto al lavoro di salvataggio sulla spiaggia. Fu un immediato successo tra i musulmani di Sydney. Dal 2008, di burkini ne sono stati venduti oltre 700mila, ha sostenuto la designer, "anche ai non musulmani: ne abbiamo venduti a ebrei, indù, cristiani, mormoni, donne che avevano vari questioni con il corpo. Abbiamo avuto anche degli uomini che l'hanno chiesto".
Il costume islamico raggiunse un diffusione tale che Aheda brevettò l'idea, registrando sia il marchio 'burkini' che 'burqini'. Ma le imitazioni non si contano e ormai la parola è entrata a far parte del linguaggio corrente per indicare un costume da bagno femminile in linea con i dettami islamici. Anche l'approccio però è cambiato. "Prima era abbastanza positivo, adesso tutti pensano che nascondiamo bombe nei nostri burkini". Ma nonostante tutto, la designer è contenta della sua creatura: "abbiamo suscitato molto fiducia all'interno delle nostre comunità, le donne musulmane sono molto più attive in questi giorni", ha sottolineato, rivendicando quanto fatto: "non mi pento". (AGI)