Roma - A sei mesi dall'inizio del suo secondo mandato e a cinque mesi dalle Olimpiadi, lo scandalo del colosso petrolifero Petrobras rischia di travolgere la 'presidenta' Dilma Rousseff, alle prese con l'avvio delle procedure di impeachment. Tira una brutta aria per lei in Brasile, visto che la vicenda giudiziaria del colosso petrolifero si e' ormai trasformata in una battaglia politica, che vede proprio la Rousseff protagonista in negativo. Sempre piu' sola e piu' debole, la 'presidenta' affronta il suo 'Watergate' senza l'appoggio del Pmdb, un partner storico del governo, che ha staccato la spina, ritirando i suoi ministri, e mentre la caduta dei prezzi delle materie allontana l'uscita del paese dal tunnel della recessione, la peggiore dal 1990. Finora la 68enne Rousseff e' riuscita a tenersi fuori dai guai giudiziari del caso Petrobras, ma ormai e' sotto assedio.
Petrobras, macchia da 2 miliardi sul 'lulismo'
La maxi-inchiesta, iniziata a marzo del 2014, ribattezzata 'Lava Jato', o 'Autolavaggio', ha fatto a pezzi il partito del Lavoratori, che governa il Brasile, coinvolgendo perfino il 'padre della patria' Luis Ignazio da Silva Lula, e sono sempre di piu' quelli convinti che la stessa Rousseff, che e' stata ministro dell'Energia e membro del cda della compagnia petrolifera, non poteva non sapere quello che avveniva dentro la piu' grande azienda pubblica del Brasile. Il giro di tangenti pagate da Petrobras ai politici e agli esponenti del governo si aggira sui 2 mila miliardi di dollari, sono ben 54 i politici indagati, tra cui alcuni pezzi da novanta, come il tesoriere del partito dei lavoratori, Joao Vaccari, il presidente della Camera, Eduardo Cunha e quello del Senato, Ranan Calheiros, mentre gli ex dirigenti del colosso petrolifero, anch'essi decimati, sono accusati di aver gonfiato fino al 3% i contratti stipulati per la costruzione di infrastrutture petrolifere.
Tra i pezzi da novanta, il primo cadere sotto i colpi della magistratura e' stato il magnate Marcelo Odebrecht, fino a dicembre presidente e amministratore delegato dell'omonimo gruppo edilizio e ingegneristico, il piu' importante dell'intera America Latina, condannato a 19 anni e quattro mesi di reclusione per corruzione, riciclaggio e associazione a delinquere. Il 47enne costruttore, che si e' sempre professato innocente, e' diventato cosi' la figura di rango piu' elevato a subire una condanna nell'ambito dell'inchiesta Autolavaggio, guidata dal pm Sergio Moro. I giudici brasiliani, denominati dai media 'Mani pulite', hanno emesso oltre 40 ordini di cattura, fermando l'ex presidente Lula, accusato di riciclaggio di denaro e occultamento di proprieta' in relazione all'affaire Petrobras e costretto a tre ore di interrogatorio. Per salvarlo e metterlo al riparo da eventuali arresti, Rousseff l'ha nominato ministro dei rapporti col governo, ma un giudice federale ha bloccato la nomina. Pochi giorni fa la Corte Suprema brasiliana ha quindi deciso di avocare a se' il caso Lula, togliendo la giurisdizione al giudice Moro. Il braccio di ferro tra la Rousseff e 'Mani pulite' brasiliane, passa ora dalle aule giudiziarie a quelle parlamentari, poiche' e' di fatto partita la procedura di impeachment. Una commissione speciale formata da 65 deputati, molti dei quali in qualche modo legati alle inchieste in corso, dovra' valutare il rapporto del ministro della Giustizia, Jose' Eduardo Cardozo, che ha il compito di difendere Rousseff dall'accusa di aver truccato i conti e introdotto misure di finanza creativa per favorire Petrobras.
La commissione dovra' valutare se queste accuse sono tali da comportare la sua destituzione e, in caso affermativo, ha il potere di portare la questione dell'impeachment, entro il 15 aprile, in aula alla Camera, dove i deputati per incriminare la 'presidenta' dovranno mettere insieme una maggioranza di due terzi. Solo questo punto la palla passera' al Senato, che avra' l'ultima parola sulla vicenda. Insomma, la procedura di impeachment e' partita e, anche se difficilmente, visti gli ostacoli da superare, andra' in porto, la posizione della Rousseff appare sempre piu' in bilico.
Intanto, Petrobras veleggia verso una possibile privatizzazione, contro la quale si e' schierata proprio la Rousseff, assicurando che sia lei, sia il governo sono pronti, se necessario, a valutare un eventuale salvataggio del gruppo. Petrobras ha chiuso i conti in rosso di 7,4 miliardi di dollari nel 2014 e di 9,6 miliardi nel 2015, i due peggiori anni dalla sua fondazione nel 1953. L'azienda e' la piu' indebitata al mondo e le sue passivita' sono arrivate a circa 200 miliardi di dollari, di cui oltre 90 miliardi denominate in dollari e il resto in real, cioe' destinate a crescere, visto il crollo della moneta brasiliana, che ha perso il 30% del suo valore negli ultimi 12 mesi. Anche la caduta a picco del prezzo del petrolio non aiuta la compagnia, che ha drasticamente tagliato i suoi investimenti e il valore dei suoi asset. Inoltre l'azienda dovra' far fronte a una class action intentata dagli investitori Usa su 98 miliardi di dollari di azioni emesse negli Stati Uniti, tra il 2010 e il 2014.
L'accusa e' molto pesante: falsificazione dei documenti sul valore delle azioni, un'azione legale che rischia di coinvolgere non solo Petrobras ma anche le banche brasiliane che hanno gestito le emissioni, screditando ulteriormente l'immagine economica del Brasile, gia' messa a dura prova dai downgrade delle agenzie di rating. Le principali agenzie internazionali hanno tutte abbassato a livello 'spazzatura' il rating sovrano del paese, riflettendo cosi' la caduta a picco dell'economia, passata, nel giro di pochi anni, dal boom economico a una dura recessione. Anche Petrobras ha visto il suo rating decadere da "investment grade" (titolo considerato affidabile per gli investitori istituzionali) a "speculative grade" (titolo a alto rischio) e si trova sempre piu'in difficolta' a finanziarsi. (AGI)