di Barbara Tedaldi
Roma - Il governo libico, se nascera', sara' una soluzione parziale e temporanea. Romano Prodi, in un colloquio con l'AGI, torna a escludere l'intervento di terra come opzione per combattere l'Isis in Libia e pacificare un Paese in guerra civile. "Ho fatto gia' piu' volte presente le difficolta' enormi che ci sono per questo governo, guidato da Fayez el-Sarraj, proprio perche' la sua autorita' sul territorio e' molto parziale. Si devono fare i conti con tutta una serie di forze che, se non si siederanno intorno al tavolo, renderanno difficile una soluzione definitiva. Tutti gli osservatori piu' attenti sperano in un accordo di governo, perche' una tregua e' oggi indispensabile, ma nell'analisi profonda sono altrettanto concordi nel dire che sarebbe una soluzione temporanea e parziale. Molto meglio di una guerra aperta, ma l'accordo ha un'efficacia parziale ed e' ancora difficile". Qualcuno ipotizza un ruolo dell'Italia simile a quello ricoperto guidando Unifil in Libano, ma Prodi, che fu ideatore di quell'operazione, mette in guardia dai confronti: "allora ci fu un accordo internazionale, siamo stati richiesti, siamo stati graditi e siamo stati bravi. Ma soprattutto c'era un vuoto che ci hanno chiesto di riempire. In Libia c'e' troppo pieno: Unifil puo' essere difficilmente ripetuta. Se ripetessimo quel modello in Libia, si aprirebbe subito un conflitto, verremmo considerati come nemici cronici. Insomma, e' un'azione che non e' realistica". Questa analisi vale ovviamente al momento, se invece si desse vita a un governo stabile e tale governo chiedesse l'aiuto di una forza internazionale, il quadro cambierebbe: "Quando si aprono nuove prospettive si valutano. Una volta che ci saranno questi passaggi si riflettera'".
Prodi, "è allarme economia, subito vertice internazionale"
Ma per Prodi l'importante e' valutare il quadro nel suo insieme e tale quadro comprende non solo la Libia, ma anche la Siria e l'Ucraina. Crisi, quest'ultima, dimenticata da alcuni ma che cova sempre come il fuoco sotto la cenere. "Il focolaio piu' drammatico e' la Siria, ma l'inizio dell'ultima ondata di tensione e' partita da Siria e Ucraina simultaneamente. Abbiamo quindi tre punti di tensione specifici: e' difficile affrontarli in modo separato l'uno dall'altro perche' nella crisi siriana e ucraina sono coinvolte tutte le grandi potenze, cominciando dalla Russia. In Libia non c'e' la Russia come attore, se non indirettamente, ma essa e' legata alla crisi siriana dal fenomeno terroristico che, come caratteristica piu' recente, esercita un crescente proselitismo e tende ad unificarsi con le tensioni presenti anche nel Sahel". Per l'ex premier "e' assai probabile che il rapporto sistemico del terrorismo si congiunga anche con Boko Haram. Il nuovo governo nigeriano costituisce ancora una speranza ma la difficiolta' della sua costituzione finora non ha dato i risultati che si speravano. E Boko Haram e' ancora molto attivo. Si tratta insomma di una complicata rete di problemi internazionali che ci tocca direttamente". "Tra l'altro- ribadisce Prodi - un intervento armato serio, quello con gli scarponi sul terreno, non sarebbe possibile perche' esigerebbe la presenza di 200.000 uomini solo in Libia. Lasciamo stare le cose impossibili, per favore". L'ex premier fa notare che la storia insegna "come i bombardamenti abbiano una influenza solo parziale: provocano sofferenza indicibili senza risultati definitivi nella soluzione dei conflitti. Inoltre da quando esistono i kalasnikov, un'arma potentissima che si conta in milioni di pezzi, il potere dei ribelli di ogni tipo si e' enormemente ingrandito". Dunque l'unica strada da percorrere e' "Nessun problema si risolve se non c'e' un accordo tra le grandi potenze. Se vogliono vincere il terrorismo, Russia e Usa devono devono agire all'unisono e, se necessario, piaccia o non piaccia, utilizzare l'unico esercito possibile che e' quello di Assad". L'esempio e' di questi giorni: "i bombardamenti non eliminano l'Isis e fanno scappare dalla Siria altre centinaia di migliaia di persone. La vera 'bomba nucleare' l'ha in mano la Turchia che puo' espellere dal paese due milioni di profughi. Qualcuno dice che sarebbe un ricatto ma la ragione ci deve spingere ad aiutare la Turchia nel gestire milioni di profughi". (AGI)