Alla conglomerata Dalian Wanda è costata un capitombolo in Borsa la notizia circolata nel fine settimana sul presunto fermo del miliardario Wang Jianlin da parte delle autorità cinesi che – secondo le indiscrezioni – avrebbero revocato il passaporto al patron del colosso immobiliare, impedendogli di lasciare la Cina. Notizia falsa: immediata la smentita di Wanda, che in un comunicato diffuso lunedì ha definito “infondati” tali rumor messi in giro da “certi individui con secondi fini”, minacciando di intraprendere possibili vie legali. Troppo tardi per impedire il tonfo in Borsa per le azioni di Wanda Hotel Development che sulla piazza di Hong Kong hanno subito un calo dell’11% nel corso della seduta; la smentita ha frenato le perdite, pur senza impedire la chiusura in rosso dell’8%.
Cosa è successo
Era domenica pomeriggio quando i siti Bowenpress e Boxun hanno lanciato la notizia, poi ripresa dalla stampa di Hong Kong e di Taiwan - come il sito Apple Daily - secondo cui le autorità avessero ritirato il passaporto al magnate Wang, mentre era all’aeroporto di Tianjin in procinto di imbarcarsi con la famiglia su un volo privato diretto a Londra. Rumor simili – si legge nel comunicato diffuso da Wanda – erano già circolati a metà agosto in occasione di un viaggio di Wang a Lanzhou, capoluogo della provincia nord-occidentale del Gansu.
Pressioni in vista del Congresso
In vista del Congresso del PCC che in autunno nominerà la nuova leadership cinese e conclamerà l’inizio del secondo mandato per il presidente Xi Jinping, non accennano a diminuire le pressioni sulle conglomerate d’affari che da due mesi sono nel mirino delle autorità finanziarie cinesi: hanno investito molto all’estero e hanno accumulato debiti, esponendo il Paese a rischi finanziari che oggi subisce un calo delle riserve valutarie e del valore dello yuan . E Pechino – che ha ordinato regole più severe sugli investimenti all’estero dopo la cifra record di 225 miliardi di dollari registrata dalle acquisizioni nel 2016 - gli dà la caccia: si tratta di Fosun, Anbang, Hna, ma soprattutto di Wanda.
La conglomerata di Wang Jianlin è proprietaria di diverse produzioni hollywoodiane, di cinema americani (Amc) ed europei (Odeon e Uci) nonché di quote nel mondo del calcio, dall’Atletico Madrid a Infront. Il colosso ha subito il blocco dei prestiti su almeno sei operazioni ed è stato costretto a cedere asset alberghieri per un valore di 9,3 miliardi di dollari. Giorni fa, ha dovuto inoltre rinunciare all’acquisto di Nine Elms Square. A fine giugno la China Banking Regulatory Commission (Cbrc), l'ente di regolamentazione del settore bancario, aveva ordinato ai sei maggiori gruppi bancari a livello nazionale di procedere a uno scrutinio estremamente attento delle acquisizioni all'estero di diversi gruppi cinesi, rendendo nota la loro esposizione debitoria. Una manovra che sta avendo pesanti ricadute anche su Anbang: il gigante delle assicurazioni è stato declassato dall’agenzia di rating Dagong. Nel giugno scorso il suo presidente Wu Xiaohui ha dovuto abbandonare l’incarico - si sospetta – per implicazione in casi di corruzione.
Notizie di stampa da prendere con cautela
In un clima di certo non positivo per i grandi gruppi che hanno fatto grosse acquisizioni all’estero, e che oggi si vedono bloccare i prestiti da parte delle autorità bancarie preoccupate dai rischi di sistema, nascono e si alimentano, soprattutto da parte di certa stampa addentro alla vita politica ma le cui notizie vanno in genere trattate con cautela, indiscrezioni che trovano un terreno particolarmente fertile. Una notizia siluro in grado di colpire un colosso già in difficoltà mentre il suo fondatore prova a dare un nuovo indirizzo agli investimenti in linea con il diktat del governo cinese. Proprio a Caixin, come sottolinea Milano Finanza, Wang aveva anticipato a luglio l’intenzione di mantenere gli investimenti all’interno della Cina.
Il Warren Buffet cinese
Episodi simili erano già accaduti negli ultimi mesi, prendendo di mira il figlio del magnate di Wanda, Wang Sicong, e più di recente, a luglio, il presidente di Fosun, Guo Guangchang: la holding – anch’essa tra le aziende nel mirino delle autorità - fu costretta a smentire le voci secondo cui il gruppo avesse perso contatti con il suo co-fondatore, anche noto come “il Warren Buffett cinese”, il quale poco dopo apparve in un video in diretta da un ufficio con lo skyline di Shanghai alle sue spalle – ponendo così fine all’episodio che pure in questo caso aveva causato emorragie in Borsa.
Twitter@ASpalletta
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