Il Nasdaq rimbalza ma la frenata dei titoli tecnologici resta. E neppure le buone notizie arrivate dalla Fed e i dati incoraggianti sul lavoro Usa potranno fare molto. L'indice dei titoli tecnologici ha chiuso la seduta del 4 gennaio con un rialzo del 4,46%.
Rispetto ai massimi di fine agosto, però, il ribasso è ancora vicino 20%, cioè a cavallo di quella soglia che convenzionalmente distingue una semplice correzione da una vera e propria tendenza ribassista.
L'ultima seduta
L'ultima seduta dalla settimana è stata sostenuta dai dati diffusi dal dipartimento del Lavoro Usa: 312.000 posti creati a dicembre, molti più dei 176.000 previsti.
Ancor di più ha fatto il presidente della Fed, Jerome Powell, con le sue parole: "Se necessario non esiteremo a cambiare significativamente il corso della nostra politica monetaria che non è un percorso prestabilito". Tradotto: non c'è fretta di aumentare i tassi. Si tratta di una manovra gradita, visti i timori di un rallentamento dell'economia statunitense. Ma è anche un segno di distensione tra la Fed e Trump, che lo scorso 19 dicembre aveva criticato la scelta di aumentare i tassi di interesse di un quarto di punto.
A ricomporre il quadro ci sono anche i negoziati tra Stati Uniti e Cina: delegati della Casa Bianca sono attesi a Pechino nei prossimi giorni per discutere di dazi. Di questa serie di notizie i tecnologici hanno tratto beneficio come l'intero listino di Wall Street che ha chiuso la seduta a +3,29%). Ma questo non basta per dire che si tratti di una ripartenza per i titoli di quel settore. (
Nasdaq: la corsa e la frenata
Tra il 2017 e il primo semestre 2018, il Nasdaq ha corso a un ritmo che non si vedeva dal 1999-2000, poco prima che scoppiasse la bolla delle dot-com. Tra l'inizio dello scorso anno e il picco del 31 agosto, oltre gli 8100 punti, il Nasdaq ha guadagnato il 14% e il Nasdaq 100 (che raccoglie le compagnie più grandi) il 16%.
L'indice Fang+, che coinvolge dieci dei principali titoli (tra i quali Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) ha fatto ancora meglio: +30%. Con Netflix capace di raddoppiare il proprio valore, Amazon di apprezzarsi del 70% ed Apple del 34%. Zavorrato da Facebook, che ha iniziato a frenare prima delle altre a causa di una trimestrale poco convincente, l'indice Fang+ ha rallentato già a giugno (quindi con qualsi due mesi di anticipo rispetto al Nasdaq).
Stavano emergendo le crepe di un mercato fuori giri, ma sono state sottovalutate fino a quando non sono diventate troppo grandi per essere ignorate, tra ottobre e novembre. Prima a causa di Amazon e poi di Apple.
La caduta delle Trillion Dollar Company
Il gruppo di Jeff Bezos e quello di Cupertino sono le sole 'trillion dollar company', le società quotate ad aver raggiunto una capitalizzazione superiore ai mille miliardi di dollari. La prima a rallentare bruscamente è stata Amazon, con un deciso calo nei primi giorni di ottobre e con un'accelerazione al ribasso dopo la diffusione dei dati sulla trimestrale.
Il mercato non ha gradito quelli registrati tra luglio e settembre. E ancora meno le prospettive per la fine dell'anno. Un segnale di rallentamento che ha reso palese una domanda che, prima o poi, ci si doveva porre: fino a quando imprese e titoli tecnologici continueranno a correre? Un dubbio rilanciato, a novembre, dalle indiscrezioni sulle vendite degli iPhone, sotto le attese. Sono arrivati prima i tagli delle stime dei fornitori. Poi quelli di Apple, che così ha bruciato in tre giorni quanto l'intera capitalizzazione di Facebook.
La Mela paga non solo le incertezze sulla sostenibilità futura, ma anche un mercato degli iPhone saturo, la battaglia commerciale tra Cina e Usa, una concorrenza che offre prodotti competitivi a prezzi inferiori e un bilancio ricco ma squilibrato perché troppo dipendente da un solo dispositivo. E così la Mela, dopo essere stata - ad agosto - la prima società da mille miliardi, oggi ne vale poco più di 700 ed è in quarta posizione.
Alphabet, Amazon (che pure è calato da oltre mille a 770 miliardi) e Microsoft (782 miliardi) capitalizzano di più. Il gruppo fondato da Bill Gates è tornato in vetta. Non perché abbia corso di più ma perché ha retto meglio alla buriana: -12% dai massimi del 2018.
Le ragioni della crisi
Il calo è quindi generalizzato, ma il rosso non è uniforme: per alcune società ha tinte più cupe. D'altronde dietro la "tecnologia" ci sono cose anche molto diverse, con prospettive diverse: Amazon è servizi ed e-commerce; Facebook e Google campano di pubblicità, Netflix di abbonamenti e Apple soprattutto di hardware.
La crisi di questi ultimi mesi è una miscela di problemi strutturali (come lo squilibrio nel bilancio di Apple), eventi e inchieste (il caso Cambridge Analytica per Facebook), multe antitrust (l'Ue contro Google). Ci sono poi elementi economico-finanziari che prescindono dalla singola società. Dopo la corsa sfrenata del 2018, ai primi segnali di instabilità, gli investitori hanno preferito vendere e assicurarsi ritorni importanti.
Non contribuiscono alla calma le prospettive di mercato (Apple si muove in un comparto stagnante, Facebook ha già detto che i margini nei prossimi anni saranno più ristretti) e le incertezze legate alle nuove norme. Che siano fiscali, commerciali o legate alla privacy, è chiara la tendenza a una maggiore regolamentazione. E' tutta da decifrare, ma suggerisce un avvenire prossimo meno brillante del recente passato.
Infine, visto che la tecnologia non è un compartimento stagno, risente dei timori del rallentamento economico statunitense ed è particolarmente esposta alla guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina. Quando la bolla delle società dot-come scoppiò, tra l'inizio del 2000 e la fine del 2002 il Nasdaq 100 perse quasi l'80% e molte società evaporarono. Siamo ancora lontani da quello scenario e oggi le compagnie sono più solide. Ma questo non esenta da pesanti tonfi.