Nell'arco di 24 ore spunta una nota segreta della Vigilanza di Bankitalia sui guai di Popolare Vicenza, che Mario Draghi, allora governatore, avrebbe ignorato, e arriva la marcia indietro di Danièle Nouy, responsabile della vigilanza dell'Eurotower, sulle nuove regole sui crediti deteriorati, che avrebbero costretto le banche a nuovi, dolorosi accantonamenti per far fronte alle sofferenze, mettendo in seria difficoltà gli istituti italiani.
Per Draghi, un uno-due devastante, un doppio colpo come forse mai aveva subito nella sua lunga carriera. E che potrebbe avergli strappato, chissà, quel ruolo di riserva illustre della Repubblica che non ha mai smesso di restargli cucito addosso nemmeno durante il suo mandato alla presidenza della Bce, in scadenza tra due anni. Dopo i quali per lui, più che il Quirinale o Palazzo Chigi, inizia ad apparire maggiormente probabile un futuro da conferenziere di lusso, come l'ex collega Ben Bernanke. Magari con la beffa di vedersi sostituito dal suo nemico di sempre, il lanciatissimo presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Adesso il nostro uomo in Europa che verrà tirato di continuo per la giacca perché "faccia un gesto di responsabilità per salvare il Paese" non è più lui? È Tajani, che Berlusconi ha indicato sin dall'inizio come il premier ideale di un governo di larghe intese che, dopo il voto in Sicilia, appare però meno probabile? È presto, certo, per dirlo, ma la vicenda sembrerebbe aver preso questa piega.
Certo da oggi, è unanime il sospiro di sollievo del mondo politico di chi - dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan al Movimento Cinque Stelle - in Italia riteneva la nuova stretta iniqua e pericolosa. È una vittoria, in un momento altrimenti difficile, di Matteo Renzi: che ora non ha più bisogno di spiegare perché volesse la testa di Visco. È forse una vittoria per un Parlamento Europeo la cui funzione di colegislatore è a volte così ancillare da ricordare quella delle Camere in certe monarchie ottocentesche. E, soprattutto, è una buona notizia per Antonio Tajani, nuovo presidente dell'emiciclo, che scrisse personalmente a Draghi per invitarlo a rispettare le prerogative dell'Europarlamento, in larga parte contrario al giro di vite.
"Draghi ignorò la nota di Bankitalia"
"C’è una nota della Vigilanza di Bankitalia che nel 2009, al termine delle due ispezioni condotte sulla Popolare di Vicenza, informa il governatore Mario Draghi dei problemi emersi e ancora irrisolti sull'istituto guidato da Gianni Zonin. Sottolineando tra questi il prezzo delle azioni troppo elevato rispetto alla redditività della banca", è la ricostruzione di Gianluca Paolucci sul quotidiano di Torino,"E come il suo allineamento a valori più congrui avrebbe causato problemi all’istituto, con evidenti ricadute sulle vendite di azioni da parte dei soci e di conseguenti rischi per la stabilità della banca". "Agli allarmi lanciati dagli ispettori nel 2008/2009 seguirono alcuni provvedimenti di Bankitalia contro la Vicenza, che venne multata per oltre 500 mila euro (poco più di 25 mila euro per ogni componente del cda e del collegio sindacale) e alla quale venne proibito di effettuare altre acquisizioni", prosegue Paolucci, "ma nulla venne fatto sul prezzo delle azioni, che continuò a crescere anno dopo anno fino al picco di 62,5 euro toccato nel 2011".
E non si concludevano certo qua i rilievi degli ispettori, che avevano inoltre identificato con chiarezza i conflitti di interesse, la gestione personalistica di Zonin, e una liquidità risicatissima, a fronte dell'ingente quantità di prestiti in sofferenza. Tanto che che l'istituto "in una situazione di stress avrebbe avuto una cassa per soli 5 giorni". Bankitalia non solo scelse di fare poco o niente, togliendo nel 2011 il divieto di fare acquisizioni, ma addirittura "di questa ispezione venne comunicata a Consob solo la parte relativa alla vendita da parte della banca ai propri clienti di derivati speculativi, estremamente rischiosi". Da qui il violento scontro di ieri, nella Commissione d'Inchiesta sulle banche venete, tra il delegato di Palazzo Koch e quello dell'autorità di vigilanza. Il resto della storia lo conosciamo: lo Stato sarà costretto ad accollarsi il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca dopo una durissima trattativa con la Ue e la Bce. La Bce guidata dall'uomo che, a quanto pare, si girò dall'altra parte quando vennero fuori i guai dell'istituto di Zonin. Per la credibilità di Draghi è un'autentica mazzata.
La marcia indietro della Bce sulle sofferenze
Non è da escludere che all'Eurotower subodorassero la tempesta in arrivo. Così si spiega l'inedita condiscendenza con la quale una dura come Danièle Nouy, la donna alla quale Draghi ha dato il compito di vigilare sui conti delle banche, di fronte alla Commissione Affari Economici del Parlamento di Bruxelles, ha assicurato - intimidita, quasi imbarazzata - che la formulazione delle nuove norme sulle sofferenze bancarie sarà senz'altro rivista. In sintesi, la Bce aveva chiesto alle banche di effettuare nuovi accantonamenti - ovvero di mettere fondi da parte - per poter coprire i crediti deteriorati in caso di una nuova crisi. Il problema è che, con gli accantonamenti, le banche hanno meno soldi da prestare all'economia reale, e quindi, se i loro conti migliorano, quelli delle aziende peggiorano. Allo stesso modo nel quale uno stato in recessione al quale viene chiesto di tagliare le spese per ridurre il deficit non può fare investimenti pubblici e la recessione si aggrava. E, con l'aggravarsi della recessione, i conti - almeno nel medio periodo - non migliorano comunque. La stessa rigida applicazione dell'austerità che ha ridotto in poltiglia la Grecia e rallentato la ripresa dell'Italia.
Tajani: "I tecnocrati non possono decidere la vita dei cittadini"
La ritirata di Nouy era ovviamente frutto di un'indicazione giunta dall'alto, quindi da Draghi. Che nei giorni scorsi aveva ricevuto da Tajani una lettera nella quale la Bce, a fronte della contrarietà dell'Europarlamento alle nuove norme, "adottasse tutti i passi necessari per assicurare che le prerogative del Parlamento come colegislatore siano pienamente rispettate, per evitare un conflitto inter-istituzionale sulla materia". Una rivendicazione che cela anche una grandissima intelligenza politica. L'antieuropeismo che ha portato i partiti sovranisti a prendere valanghe di voti deriva proprio da norme come queste, calate dall'alto senza un dibattito democratico. Se il mio voto alle europee non vale niente, tanto vale uscire: ragionano molti elettori del Front National piuttosto che del Movimento Cinque Stelle. E Tajani ne è ben consapevole. "La scelta di rivolgermi al presidente della Bce sui crediti deteriorati non è legata a un fatto tecnico", ha spiegato al Corriere, "ho posto il problema del ruolo della politica in Europa. La politica deve tornare ad avere un ruolo centrale e tirare fuori l'Europa dal guado: questa è la risposta alla disaffezione dei cittadini. Se non avremo il coraggio, allora i cittadini rifiuteranno di essere governati da tecnocrati, che non sono eletti da nessuno". Il confronto è ancora aperto, ma oggi l'Europa potrebbe essere cambiata per sempre. In meglio.