Qualche passo avanti e lo stesso appello (finora) inascoltato: serve un piano Marshall per l'innovazione in Italia. Nei primi sei mesi del 2018 sono nate 23 nuove scaleup (società innovative che hanno raggiunto un grado di maturazione superiore alle startup) e sono stati raccolti 335 milioni di dollari. L'importo è simile a quello ottenuta durante tutto lo scorso anno. Una buona notizia, che però non basta per ricucire il divario con i maggiori ecosistemi europei. Perché, mentre l'Italia prova ad accelerare, c'è già chi corre da anni. Questo è il messaggio principale lanciato dal nuovo rapporto “Tech Scaleup Italy” realizzato da Mind the Bridge in collaborazione con AGI e presentato durante la giornata inaugurale dell’EY Capri Digital Summit moderata dal Direttore di AGI Riccardo Luna.
Il divario con gli altri Paesi
Con le nuove nate nel primo semestre del 2018, il numero complessivo delle scaleup in Italia oggi supera le 200 unità. Ce ne sono 0,3 ogni 100.000 abitanti. E un indice di investimento (il rapporto tra capitale raccolto e Pil) dello 0,07%, al di sotto sia della media europea (0,45%) che della media dell’Europea meridionale (0,15%). Nelle classifiche di entrambi i parametri l'Italia è ottava in Europa. Ancora troppo poco, anche alla luce del ritardo accumulato. Alla fine del 2017, nel nostro Paese c'erano 178 scaleup (pari al 3,2% del numero totale di quelle europee), capaci di raccogliere in tutto 1,3 miliardi di dollari (l'1,6% del capitale investito in tutte le scaleup del continente).
L'ecosistema italiano si collocava all’11esimo posto, dietro a Paesi Bassi, Finlandia e Danimarca. Ma è lontana anche la Spagna, capace di attrarre oltre il doppio degli investimenti. Il divario con i tre maggiori ecosistemi europei, poi, appare – afferma il Report - “incolmabile”: il Regno Unito registra infatti un numero di scaleup e investimenti superiori, rispettivamente, di 9 e 20 volte; la Germania di 3 e 11 volte e la Francia di 4 e 7 volte.
L'appello al governo: un piano da 2 miliardi
“L'Italia deve investire più capitali in società hi-tech per ridurre il divario con gli altri paesi europei - commenta Alberto Onetti, Chairman Mind the Bridge e Coordinatore SEP - L’attuale ecosistema dell'innovazione in Italia non rispecchia affatto il potenziale effettivo del Paese, considerate le dimensioni della sua economia. A febbraio, prima delle elezioni, avevamo raccomandato al governo eletto di lanciare una sorta di piano Marshall per l'innovazione in Italia, con l’iniezione di 2 miliardi di euro volti a spingere e a catalizzare maggiori investimenti privati.
Questa era e resta l’unica strada per cercare di ridurre l'enorme divario che separa l'Italia dai principali paesi europei che sono a loro volta in ritardo sugli Stati Uniti e sul Regno Unito. Ora l'Italia ha un nuovo governo. La raccomandazione è ancora valida. Stare fermi non è un’opzione".
Aziende giovani e tempi lunghi
Tra le ragioni di questo ritardo, spiega il “Tech Scaleup Italy”, ci sono anche la giovane età dell’ecosistema e le tempistiche legate all’accesso ai capitali, ancora molto lunghe. In Italia il 67% delle scaleup è stato fondato tra il 2010 e il 2014, il 13% dopo il 2015. Solo il 20% è stato fondato prima del 2010 e questo significa che l'ecosistema italiano è decisamente più giovane della media europea. Inoltre, il 60% ha completato l’ultimo round di finanziamento negli ultimi tre anni: questo disallineamento tra l'anno di fondazione e l'anno di finanziamento indica che le scaleup italiane richiedono del tempo per accedere a risorse significative.
Il canale principale per raggiungerle è il Venture Capital (88% dei fondi, pari a 1,150 miliardi). Le Ipo hanno pesato solo per l’11%, le Ico (il sistema di raccolta tramite emissione di propria criptovaluta) per l’1%. Il 20% dei finanziamenti alle startup italiane arriva dagli Stati Uniti, che si conferma il principale investitore extra-europeo. ll Regno Unito pesa per l’11%.
Piccole scaleup in un Paese di Pmi
Vista la raccolta contenuta, non stupisce che l'86% delle scaleup abbia raccolto meno di 10 milioni di dollari. Il 12% ha ottenuto tra i 10 e i 50 milioni e solo il 3% ha raccolto oltre 50 milioni. Le Dual Company – startup italiane che hanno spostato la sede principale all’estero – sono 25 e hanno raccolto in media il 50% di capitale in più rispetto alle aziende che hanno scelto di restare (10,2 milioni contro 7,1 milioni).
“L’Italia è ancora un Paese di piccole imprese e di piccole scaleup, come dimostrano i dati del Report - sottolinea Riccardo Luna, Direttore AGI - E questa mancata concentrazione di risorse caratterizza non soltanto lo sviluppo di queste aziende ma anche la loro presenza sul territorio, distribuita su tanti piccoli hub minori oltre a Milano e Roma. Nell’odierno monopolio digitale, è quindi necessario che queste aziende non siano lasciate sole. È giunto il momento che finisca l’era delle chiacchiere e si apra quella dei fatti”.
Nessun hub italiano nella top 10
Sul fronte hub, nessun italiano figura nella top 10: Milano si colloca al 14esimo posto, Roma segue al 20esimo. Il capoluogo lombardo resta il principale polo italiano, con 78 scaleup (pari al 44% del totale) mentre Roma segue a grande distanza (12 scaleup, 10% del totale). Altre piazze principali risultano Napoli, Firenze e Cagliari, Bologna e Torino. "L'emergere di hub secondari – aggiunge Alberto Onetti - è un fenomeno interessante e comune a molti Paesi europei. Il loro potenziale e il loro ruolo in termini di innovazione e sviluppo locale non possono essere trascurati. È necessario impostare una strategia per supportare e connettere a livello internazionale tutti questi hub e uno studio dedicato proprio agli Startup Hub in Europa sarà presentato il 21 novembre da Mind the Bridge al Parlamento Europeo alla presenza del Presidente Antonio Tajani”.
“In Europa il bicchiere è mezzo pieno - aggiunge Isidro Laso Ballesteros, Head of Startup Europe, Commissione Europea - Gli ecosistemi startup iniziano finalmente a connettersi tra loro e ciò contribuisce in modo significativo a sostenere la crescita delle startup. Ma si può fare di più senza rinnegare la nostra base comune: il nostro vantaggio competitivo deve essere quello di essere uniti nella diversità”.
E-commerce, moda e finanza
Il panorama scaleup italiano è dominato dalle società di e-commerce (in tutto 27, pari al 15% del totale), capaci di raccogliere la fetta di capitale maggiore (160 milioni di dollari). Sono superate solo dalle aziende Fashiontech (che fondono moda e tecnologia), il cui ammontare complessivo è tuttavia fortemente influenzato dalla multinazionale di origine italiana YOOX / Net-a-Porter (che da sola ha raccolto 191 milioni). Segue il Fintech (l'intreccio tra finanza e dicitale), con 18 scaleup e una raccolta complessiva di 122 milioni (80 dei quali ottenuti da Moneyfarm).
Un ultimo sguardo, infine, va al mercato italiano delle fusioni e delle acquisizioni: con 193 exit, l'Italia si colloca al settimo posto tra i Paesi europei, dato che conferma l'interesse degli acquirenti internazionali verso le aziende tecnologiche italiane. Regno Unito, Germania e Francia registrano però volumi notevolmente superiori e il divario è ancora più ampio se ci si sofferma sulle acquisizioni: con 143 operazioni l’Italia è al 12esimo posto, segno che le imprese italiane mostrano una scarsa propensione ad acquisire startup.