"Sembra che il Reddito di Cittadinanza stia allontanando dal mercato del lavoro anziché richiamare persone in cerca di occupazione", si legge nel Rapporto Annuale dell'Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno (Svimez) presentato a Montecitorio.
"L'avvio da luglio della nuova fase con i centri per l'impiego e i navigator non sembra al momento aver modificato la tendenza. Un secondo problema è che il trasferimento monetario spiazza il lavoro perché tende ad alzare il salario di riserva e, di conseguenza, disincentiva il beneficiario ad accettare posti precari, occasionali, a tempo parziale". Svimez propone di "uscire dalla logica del sussidio monetario e rendere il Reddito di Cittadinanza una parte di un progetto più ampio di inclusione sociale.
Le risorse disponibili per il Reddito di Cittadinanza potrebbero finanziare, infatti, un sistema integrato di servizi per le fasce più deboli della popolazione, attraverso interventi mirati per contrastare l'abbandono scolastico, integrare i servizi socio-sanitari (asili nido, strutture socio-assistenziali per anziani) oggi carenti, rafforzare le politiche attive del lavoro, migliorando così la qualità della vita delle fasce piu' fragili della popolazione e attivando, al tempo stesso, anche attraverso il mondo della cooperazione, occasioni di lavoro".
L'abbandono del mezziogiorno
Dall'inizio del 2000 "hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti: la metà sono giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati; il 16% circa si sono trasferiti all'estero". E di questi, oltre 850 mila di loro non tornano più nel Mezzogiorno. È quanto emerge dal rapporto dello Svimez.
Nel 2017, in presenza di un tendenziale rallentamento della ripresa economica, "si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 132 mila residenti, un quarto dei quali ha scelto un Paese estero come residenza, una quota decisamente piu' elevata che in passato, come più elevata risulta la quota dei laureati, un terzo del totale".
Chi sono coloro che lasciano il Sud
SVIMEZ ha rilevato come la "nuova migrazione" sia figlia dei profondi cambiamenti intervenuti nella società meridionale, un'area che sta invecchiando e che non si dimostra in grado di trattenere la sua componente più giovane - appartenente alle fasce di età 25-29 anni e 30-34 anni - sia quella con un elevato grado di istruzione e formazione, sia coloro che hanno orientato la formazione verso le arti e i mestieri.
Nel 2017 gli appartenenti a queste due classi di età che lasciano definitivamente una regione del Sud ammontano rispettivamente, a 16 mila e a 12 mila unità. Oltre il 68% dei cittadini italiani che nel 2017 ha lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore il 37,1% e laurea il 30,1% (nel 2010 le quote risultavano rispettivamente pari al 38,7 e a 25,1%).
In Abruzzo e Basilicata la più grande emorragia di laureati
La consistente perdita dei giovani laureati interessa tutte le regioni del Mezzogiorno e assume un rilevo maggiore in Basilicata e in Abruzzo, rispettivamente il 33,9% e il 35,0%. Nelle altre regioni del Mezzogiorno la quota dei laureati che si trasferisce al Centro-Nord supera sempre il 30% con l'eccezione della Campania (29,1%) e della Sardegna (28%).