Non c'è solo Amazon Go. Ci sono oltre 150 società che stanno lavorando a punti vendita automatizzati, senza casse o senza commessi. CBInsight ha selezionato dieci startup che (assieme a quattro grandi gruppi) stanno cercando la propria strada. Le loro soluzioni suggeriscono come potrebbero evolversi i supermercati.
Solo telecamere: Standard Cognition
Standard Cognition è una startup americana nata nel 2017. In meno di un anno ha incassato investimenti per 10,6 milioni di dollari e chiuso con contratto con Paltac, una delle maggiori catene della grande distribuzione giapponese. La sua particolarità è il risparmio strutturale: non usa sensori sugli scaffali ma solo telecamere. E ne utilizza poche: circa 25 per coprire 1800 metri quadrati. Amazon Go, ad esempio, per una superficie simile ne usa centinaia. Sfruttando la tecnologia di Standard Cognition, Paltac punta a inaugurare il suo primo supermercato automatizzato a Sendai nel 2019. Per poi aprirne 3.000 entro i giochi olimpici di Tokyo 2020.
Niente casse, niente personale
Zippin ha aperto il suo primo punto vendita a San Francisco lo scorso agosto. Oltre a essere senza casse, è anche senza personale. Il punto vendita è più piccolo, non usa riconoscimento facciale ma incrocia i sensori sugli scaffali (per capire quando un cliente prende un prodotto) con immagini video riprese dall'alto (che quindi non catturano il volto). L'utente scarica l'app e viene associato a un QR code personale. Basterà passare lo smartphone su uno scanner per iniziare a fare la spesa e uscire, un po' come a un tornello della metropolitana.
Il carrello-cassa di Caper
Caper Labs vuole trasformare il carrello della spesa in una cassa. Al momento, la forma attuale non è così diversa dagli scanner già presenti in alcuni supermercati. Ogni carrello legge i codici a barre dei prodotti e, alla fine della spesa, la carta di credito. L'obiettivo finale sarebbe quello di integrare nel carrello telecamere e sensori che consentano di riconoscere gli articoli in automatico, senza passarli allo scanner. La società ha promesso che “presto” questa tecnologia sarà presente “in 30 località”.
Bingobox: la catena centralizzata
Bingobox è una startup che ha già 300 punti vendita automatici in 30 città della Cina. E tra le sue collaborazioni vanta anche quella di un gigante della grande distribuzione tradizionale come Auchan. Bingobox è una sorta di mini-market, al quale si accede con un codice QR personale. I negozi sono piccoli, contengono 400-800 articoli e sono aperti 24 ore su 24. Il personale non è fisicamente presente, ma può sorvegliare il negozio e interagire con i clienti da remoto, via chat o video. In questo modo, Bingobox è capace di gestire 40 punti vendita con appena quattro dipendenti.
Xiaomai: umani solo per le consegne
Simile a Bingobox, Xiaomai è un piccolo negozio automatizzato, privo di cassieri e commessi. I clienti devono passare allo scanner prodotti prima di pagare, mentre vengono tracciati con un sistema di riconoscimento facciale. La parte “umana” si trasferisce fuori dal punto vendita: Xiaomai infatti fa da base per le consegne a domicilio dei fattorini.
Xingbianli: le nuove “macchinette”
Xingbianli produce distributori simili a quelle che si trovano negli uffici. Solo che al posto di inserire le monete o la chiavetta prepagata, si scansiona un codice e si paga via app. Messi assieme, questi jukebox del cibo possono trasformarsi in una piccola mensa. Oppure in un negozio: Xingbianli ne ha aperti otto. L'idea è quella di usare la stessa tecnologia non solo per gli snack ma anche per altri cibi, dalla frutta fresca al latte. La startup ha raccolto più di 70 milioni di dollari e tra gli investitori ci sono Sequoia Capital e Ant Financial (controllata di Alibaba).
Farmer’s Fridge: i distributori “freschi”
Questa startup con sede a Chicago punta tutto sulla freschezza del prodotto. La tecnologia non è così sofisticata come in altre società di questo elenco: Farmer’s Fridge è un distributore automatico di insalate e piatti salutari contenuti in vasetti. Si può pagare anche via app, ma il meccanismo è uguale a quello dei distributori tradizionali. La differenza è la filiera dei prodotti: verdure e altri ingredienti vengono assemblati e consegnati ogni giorno. Mentre quelli invenduti vengono donati in beneficenza. L'interesse è tutto nei finanziamenti ottenuti: 42 milioni di dollari.
CafeX: il barista-robot
CafeX crea chioschi in cui il barista è un robot. Oggi il sistema prevede ancora la presenza di un umano, per questioni di sicurezza e per intervenire in caso di intoppi. Ma l'idea è quella di creare bar senza personale, grazie anche alla possibilità di pagare con casse automatiche. Al momento ci sono tre CafeX, tutti a San Francisco. Un'idea che ricorda quella di un locale aperto di recente a San Francisco, Creator: ha i tavoli ma non la cucina, perché a preparare gli hamburger è una macchina che affetta, griglia e assembla in pochi minuti.
Cargo: l'auto diventa mini-market
Cargo è una startup che porta snack sui servizi di ride-hailing, come Uber. L'autista può decidere di installare a bordo un “cassetto” che contiene noccioline, bevande, cioccolatini. L'autista li riceve gratis e incassa un dollaro per ogni acquisto (che i clienti concludono via app). Il resto va ai produttori. Che però, spesso, preferiscono offrire campioni gratuiti: il vero obiettivo non sono gli incassi ma i dati sul consumo degli utenti che Cargo rileva. La società ha ottenuto 32 milioni di dollari di finanziamenti e collabora con oltre 12mila autisti, soprattutto di Uber e Grab.
Dirty Lemon: dall'online all'e-commerce
Dirty Lemon produce bevande naturali. E ha due particolarità. Primo: ha scelto un sistema di distribuzione singolare, basato sui messaggi. L'utente registra i propri dati e quelli della propria carta di credito, ma poi deve inviare un messaggio per effettuare l'ordinazione. Secondo: Dirty Lemon vendeva solo online. A settembre ha aperto un negozio a New York, esordendo tra scaffali e mattoni direttamente senza casse. Ma con lo stesso sistema di acquisto: via messaggio.
Amazon, Alibaba, JD e 7Eleven
Oltre alle startup, anche i grandi gruppi si stanno muovendo. Amazon Go incrocia sensori “da scaffale” e telecamere. È un supermercato senza casse che addebita la spesa sul conto del cliente, ma non è privo di personale. Ci sono ancora addetti alla vendita, soprattutto per chi ordina la spesa online la ritira in negozio, e all'assistenza. Il progetto ha avuto qualche intoppo, ma adesso ha ingranato: tre supermercati a Seattle, uno a Chicago. Si attende tra non molto una nuova apertura a New York e sono iniziati i sondaggi per sbarcare nel Regno Unito. Il piano prevede di aprire 3.000 Amazon Go entro il 2021. Alibaba è già più avanti, con la catena senza casse Hema: ha 65 supermercati. Lo smartphone diventa una guida e un carrello digitale. Ogni articolo ha un codice da scansionare: il cliente riceve le informazioni (dal prezzo alla provenienza) e, alle fine, paga alle casse automatiche, sempre usando il telefono. Hema è anche un centro commerciale dove acquistare, con lo stesso sistema, e consumare cibo preparato al momento. I cuochi sono umani, i camerieri sostituiti da rulli e mini carrelli robot. Alibaba controlla anche i Tao Cafe, una sorta di Starbucks dove cibo e bevande sono preparati da staff umano ma pagamento, accesso e acquisto di altri prodotti sono automatizzati via app. Sempre per rimanere in Cina, anche la seconda maggiore piattaforma di e-commerce, JD.com, sta puntando sui supermercati senza casse. Il modello è simile a quelli di Amazon e Alibaba, ma i punti vendita sono privi di personale in sede. Ci sono 20 market JD aperti in Cina e ad agosto è arrivato anche il primo in Indonesia, a Giacarta. 7-Eleven, società di proprietà giapponese ma con sede negli Stati Uniti, ha lanciato un negozio a forma di treno, nel quale ogni vagone è un distributore automatico digitale di prodotti. Il gruppo sta testando la tecnologia in Sud Corea, con la possibilità di piazzare il trenino automatico nei negozi tradizionali per creare un ibrido.