Nel mondo della tecnologie ci sono poche donne, pagate meno dei colleghi. E questo già lo sappiamo: il tema è molto discusso già da qualche anno. C'è però qualcosa che sfugge: gli effetti della disparità sono più profondi di quanto non dica la busta paga, perché finiscono con l'influenzare lo sviluppo delle startup e della tecnologia future.
Poco capitale per poche donne
Lo spunto arriva da una ricerca condotta da Carta, una società che aiuta i dipendenti-azionisti a gestire il proprio patrimonio. Carta ha spulciato il proprio archivio, scoprendo che il divario di genere è ancora peggiore se si guardano capitali anziché i salari.
È consuetudine, nelle giovani imprese della Silicon Valley, pagare i dipendenti anche in azioni. Una fetta della società in cambio del tuo lavoro. Una fetta piccola per le donne, che detengono solo il 9% del capitale oggi nelle mani di fondatori e dipendenti. Altri dati dello stesso tenore: solo il 13% dei fondatori è donna.
Eppure possiede una quota di equity ancora più ristretta: il 6%. Va leggermente meglio tra i lavoratori-azionisti, pur conservando una disparità enorme: più di un terzo è donna, ma possiede solo un quinto del capitale.
Perché questi numeri sono importanti? Perché, spiega il ceo di Carta Henry Ward, “la ricchezza e quindi il potere nella Silicon Valley sono guidati dalla proprietà delle startup e non dagli stipendi”.
La cascata parte dal garage
C'è un effetto cascata dal mitologico garage dove le startup nascono alla loro vendita, fino alla nascita di nuove generazioni figlie dei venture capital. Andiamo con ordine, perché tutto nasce all'origine.
Le piccole startup tendono a essere più maschili delle grandi imprese. Nelle società con meno di 20 dipendenti-azionisti, solo il 29% è donna. La percentuale sale con il crescere delle dimensioni: al 35% quando i lavoratori che posseggono quote della società sono tra i 101 e i 400; al 40% quando superano questa soglia.
Significa che il nucleo originario dei dipendenti-soci è composto in gran parte da uomini. La ragione è strutturale: per spingere la società nelle prime fasi, si punta su ingegneri e sviluppatori, ruoli nei quali le donne sono netta minoranza. Con l'ampliarsi della compagnia, si strutturano altre divisioni tradizionalmente più femminili, come marketing, vendite, risorse umane.
La frattura, però, qui è già nata ed è destinata ad ampliarsi. Perché le quote riservate ai primi dipendenti sono più generose e potenzialmente più ricche rispetto a quelle concesse a chi nel capitale entra dopo. È da qui che parte la slavina.
Le conseguenze della disparità
Gran parte dell'economia della Silicon Valley si alimenta grazie ai capitali di fondatori o dipendenti-azionisti, che portano al successo la propria startup, la vendono o la quotano, incassano e reinvestono in altre società o venture capital. Il caso più famoso è probabilmente la cosiddetta “Paypal mafia”.
Nel nucleo del sistema di pagamenti c'erano (tra gli altri) Peter Thiel (co-fondatore e poi investitore seriale), Elon Musk (che avrebbe poi fondato Space X e Tesla), Roelof Botha (poi partner in Sequoia Capital), Steve Chen, Chad Hurley e Jawed Karim (co-fondatori di Youtube), Reid Hoffman (il padre di LinkedIn), Ken Howery (partner di Founders Fund), Dave McClure (fondatore del venture capital 500 Startups), Russel Simmons e Jeremy Stoppelman (co-fondatori di Yelp), Yishan Wong (poi ceo di Reddit).
Chi possiede i capitali iniziali finirà con il mettere benzina in altri progetti, in proprio o sedendosi in un consiglio di amministrazione. È un processo virtuoso, ma con un effetto collaterale: rischia di aumentare le distorsioni.
Il problema, scrive Business Insider, è che “la Silicon Valley è un posto per club”. I fondatori tendono ad assumere i loro compagni di college e i venture capital a dare fiducia a storie simili a quelle del passato o alla propria. In altre parole: una maggioranza di maschi caucasici tenderà a puntare su maschi caucasici. Non necessariamente per razzismo o sessismo ma per ragioni “di club”. Ecco perché la disparità di genere di oggi non riguarda solo la ricchezza attuale ma impatta anche sulle startup che nasceranno.
E quindi sui prodotti e i servizi che nasceranno. Un discorso che potrebbe valere anche per altre minoranze, come latini e neri, sui quali però Carta non ha fornito dati. In un post che commenta la ricerca, la business angel Chloe Sladden scrive: “I principali azionisti di una startup di successo hanno il privilegio di costruire e definire le imprese di prossima generazione. E visto il loro impatto globale, questo influenza la definizione del mondo intero”.
I numeri in Italia
Quello che succede nella Silicon Valley innesca un meccanismo con ricadute planetarie. L'Italia non può avere lo stesso impatto, ma nel suo piccolo ha lo stesso problema.
Secondo i dati di Unioncamere, nel 2017 solo il 42,9% delle startup ha un donna nella compagine sociale e appena 991 (il 13,4%) ha una prevalenza femminile.