Si scrive "spread", si legge "spred" e quando sale provoca grande stress, soprattutto ai banchieri. Ma quando scende fa meno notizia, anche se gli effetti positivi del calo sono immediati, almeno in Borsa. Infatti se Piazza Affari può vantare una performance positiva negli ultimi due mesi è grazie al calo dello spread (il differenziale fra i rendimenti dei titoli di Stato italiani a dieci anni e quelli tedeschi di scadenza analoga) che ha ridato fiato alle quotazioni delle banche, mentre nel resto d'Europa e in America i listini soffrono a causa di una serie di motivi che vanno dal timore di un rallentamento economico, alla paura di nuovi rialzi dei tassi e alle incertezze sui negoziati Usa-Cina sul commercio.
Se guardiamo solo alla situazione europea, vediamo che l'indice FtseMib (l'acronimo sta per Financial Times Stock Exchange Milano indice di Borsa, ed è il paniere dei 40 titoli più importanti di piazza Affari), dal 20 novembre è salito del 2%, mentre l'equivalente indice Cac40 di Parigi (da "Cotation assistèe en continu", il primo sistema di automazione della Borsa francese) è sceso del 6,2% e il Dax di Francoforte (Deutsche Aktienindex, che considera i primi 30 titoli della Borsa tedesca) ha perso il 3%.
Sono le banche a sostenere la crescita dell'indice italiano
A sostenere il listino italiano sono soprattutto le banche, che hanno beneficiato della discesa dello spread. Sempre dal 20 novembre, queste sono le performance dei titoli principali del credito: Intesa San Paolo +7,4% Unicredit -2% Banco PopMilano +18% Ubi +2,7% Mediobanca +5%.
Con la sola eccezione di Unicredit, quindi, le quotazioni delle banche italiane sono tutte salite, a differenza delle banche europee: infatti nello stesso periodo la francese Sociètè Gènèrale è scesa del 14% e Deutsche Bank ha perso il 10%. Perché abbiamo preso a riferimento la data del 20 novembre? Perché quel giorno si era registrata una fiammata dello spread a 335 punti (per un rendimento del Btp decennale, salito al massimo degli ultimi cinque anni al 3,70%), in concomitanza con la bocciatura della manovra economica del governo italiano da parte della Commissione Ue.
Ora lo spread si è ridotto intorno ai 270 punti. A farlo scendere è stato l'accordo fra il governo e la Ue sulla manovra di bilancio 2019: grazie a cedimenti da una parte e dall'altra la trattativa è andata a buon fine e l'Italia non corre più il rischio che la Commissione europea avvii nei suoi confronti una procedura per debito eccessivo.
Quanto si paga oggi di interesse se si prestano soldi all'Italia
Rischio è la parola giusta quando si parla di spread. Perché lo spread non è nient'altro che la misura del rischio che corre un investitore quando presta soldi allo Stato italiano acquistando i vari Btp, Bot e Ctz. Da che mondo è mondo, più il creditore è affidabile, più basso è l'interesse che gli viene chiesto, e viceversa.
Quindi lo spread è la differenza fra l'interesse che viene pagato a chi presta soldi all'Italia e a chi invece li presta allo Stato più solido d'Europa, la Germania. Oggi il titolo di Stato tedesco a 10 anni, il Bund, paga un rendimento dello 0,2%. Il rendimento del Btp a 10 anni è invece al 2,90%, per fortuna ben ridimensionato dal picco del 3,46% dello scorso 20 novembre.
Resta da capire perché le quotazioni di Borsa delle banche sono così sensibili alle variazioni dello spread.
La spiegazione sta nella grande quantità di titoli di Stato posseduti dalle banche italiane, che hanno scelto di investire in questo modo una grande parte delle loro riserve. Per le sole banche quotate la cifra complessiva si aggira sui 135 miliardi di euro. Guardando alla presenza di titoli di Stato nei portafogli delle banche, a fine settembre 2018 la situazione era questa: Unicredit 57,8 miliardi, Intesa San Paolo 28,1 miliardi, Banco PopMilano 18,2 miliardi, Ubi 9,3 miliardi, Mediobanca 2,7, miliardi. Le quotazioni dei titoli di Stato si muovono in maniera opposta all'andamento dei tassi.
Le banche, i titoli di stato e il mal di pancia
Questo vuole dire che se il rendimento del Btp sale, il suo valore sul mercato scende, e viceversa. Siccome le banche ogni tre mesi sono obbligate a registrare la variazione di valore dei loro investimenti finanziari (mark to market), quando le convulsioni della politica fanno salire i tassi (e di conseguenza lo spread) le banche hanno il mal di pancia, perché si sgonfia il valore dei loro portafogli. Non è un guaio da poco, perché le normative europee sulla vigilanza bancaria impongono alle banche di avere determinati requisiti di solidità patrimoniale per essere sicuri che stiano in piedi anche in caso di uno scenario economico avverso.
L'indicatore più importante della solidità patrimoniale è il Cet1 (Common Equity Tier 1) e lo si calcola come rapporto fra il patrimonio della banca e le attività della banca stessa (ad esempio i capitali imprestati).
Le riserve investite in titoli di Stato sono una voce fondamentale del patrimonio, e se diminuiscono di valore ci può essere il rischio che il Cet1 non sia più sufficiente, il che costringerebbe la banca a rivolgersi agli azionisti chiedendo un aumento di capitale. È questo il pericolo che fa soffrire in Borsa le banche quando sale lo spread, e che al contrario fa tirare grandi sospiri di sollievo quando lo spread scende.