Lavorare nel giorno di festa? “Non è giusto”. A due giorni dalle feste di Pasqua e Pasquetta scatta un nuovo braccio di ferro contro il decreto Salva Italia approvato dal governo Monti nel 2011 che ha reso possibile l’apertura di negozi, supermercati e centri commerciali 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. A scendere in campo sono soprattutto i sindacati - in particolare le sigle Cgil, Cisl e Uil - e Chiesa, che tramite Avvenire lancia un duro attacco contro questa prassi in crescita. Quanto ai commercianti, in molti si lamentano ma secondo le stime il 92% degli esercizi di ristorazione resterà aperto. Federdistribuzione, poi, stima che tra le imprese associate almeno il 19% fra cui il 25% dei negozi di alimentari (13% con orario ridotto) e il 7% dei non alimentari. Quasi normalità per il lunedì dell’Angelo, col 60% delle aperture (68% alimentare e 44% abbigliamento).
Cosa sta succedendo
Tra domenica e lunedì - si legge su La Stampa - i sindacati del settore, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e UilTuc, hanno proclamato astensioni dal lavoro e scioperi in tutti gli esercizi di:
- Toscana
- Emilia Romagna
- Lazio
- Puglia
- Sicilia
Nel Lazio le tre sigle del commercio sciopereranno anche per il 25 aprile ed il 1 maggio, mentre in Sicilia hanno già aggiunto anche il 2 giugno. Dal Veneto, intanto, arriva la notizia che anche la Regione si sta mobilitando contro il Salva Italia: l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Roberto Marcato, ha infatti annunciato di aver inviato a tutti i parlamentari veneti una richiesta formale perché le competenze in materia di aperture straordinarie nel commercio tornino alle Regioni e poter cosi regolamentare il settore. Proposta che ovviamente ha già il consenso di tutti i sindacati.
Cosa chiedono i sindacati
Da sei anni i sindacati del commercio si battono per cancellare il Salva Italia. “La scelta di alcune aziende della distribuzione di aprire al pubblico nella domenica di Pasqua e nelle prossime festività di Pasquetta, 25 aprile e primo maggio rappresenta uno stravolgimento del vivere sociale della nostra comunità democratica, fondata anche sul valore sociale delle festività”.
Ecco perché “è indispensabile un intervento legislativo”, sostiene la Filcams, secondo la quale “è ormai assodato che il sempre aperto non ha contribuito a migliorare né l’economia del settore, né l’occupazione, ma ha solo peggiorato le condizioni di lavoro, complicato la gestione dei piccoli esercenti, e trasformato il centro commerciale in luogo di ritrovo sociale e culturale in alternativa ai centri storici e della vita sociale delle città”.
Senza contare, poi, che in seguito alle azioni promosse dalla stessa Cgil, “la Corte Costituzionale ha già sancito il diritto di astenersi dalla prestazione nelle festività, riconoscendo quindi il diritto generale al godimento del giorno festivo”.
E poi c’è il problema di chi ha un contratto atipico e che quindi per quella giornata “rossa” non percepisce né uno straordinario né una festività non goduta.
Confimprese: “Irresponsabile la chiusura”
Non la pensa così Confimprese, che associa i grandi gruppi della distribuzione moderna, che insiste perché a Pasqua i negozi restino tutti aperti. “I consumi si stanno riprendendo – spiega il presidente Mario Resca – i turisti vengono a visitare le nostre città da tutto il mondo, ma noi non abbiamo nessuna politica sul turismo, nessuna cultura dell’ospitalità e nemmeno infrastrutture adeguate. Abbiamo uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alto d’Europa: siamo così ricchi da buttare via l’opportunità di dare lavoro a chi non ne ha? E ancora parliamo di chiudere i negozi. È l’ennesimo controsenso di un Paese che ha dato il via al libero mercato, ma non si adegua alle esigenze del retail, il quale crea occupazione e fa girare l’economia”.
Il business delle “feste rosse”
Secondo i calcoli del Centro studi CNA, si legge sul Corriere della Sera, si attendono dodici milioni di turisti tra italiani e stranieri per un indotto pari a tre miliardi circa di movimento economico tra viaggi, pernottamenti, pasti, acquisti di prodotti tipici e di souvenir. L’analisi del portale culinario The Fork stima che dal 29 marzo al 2 aprile solo l’8% dei ristoranti analizzati saranno chiusi per le festività pasquali, mentre il restante 92% resterà aperto. Di questi sono circa 300 i ristoranti che propongono un menù di Pasqua, il cui prezzo medio a livello nazionale si aggira intorno ai 43 euro a coperto.
Il caso “Orio al Serio”
Prima di Natale finì su tutte le pagine di cronaca le proteste al centro commerciale Oriocenter, alle porte di Bergamo. L’agitazione era iniziata molto prima, il 10 novembre, quando dal Consorzio operatori era arrivata la circolare indirizzata ai 280 negozi del centro che annunciava, per la prima volta nella storia del centro, l’apertura totale per il 26 dicembre dalle 9 alle 22, come un qualsiasi giorno feriale, e fino alle 23 per l’area food e cinema, dove si lavorerà dalle 17 alle 23 anche il giorno di Natale e il primo dell’anno.
“Dopo il primo maggio, Ferragosto, 25 aprile, 2 giugno, Ognissanti, Immacolata, Epifania, Pasquetta e tutte le domeniche del mese, c’era rimasto solo Natale. Ora vogliono toglierci anche questo”, protestano i lavoratori. Dalle parole ai fatti: oltre la metà dei 3.000 dipendenti firmò (inutilmente) una petizione di protesta. Sul caso intervenne anche Luigi Di Maio, rivolgendo un appello “a tutte le forze politiche”, perché “il testo votato alla Camera all’unanimità” fosse approvato in via definitiva prima della fine della legislatura. Non se ne fece nulla. Immediata fu la risposta del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: “Io trasecolo. Sono proposte che porteranno Amazon a vendere di più. Con queste proposte si fa un favore ad Amazon e ai grandi player che non sono nostri”.