Che i robot possano rubare posti di lavoro agli umani è paura diffusa. E giustificata. Eppure sembrerebbe una paura un po’ più complessa e articolata di quanto saremmo istintivamente portati a credere.
Finora molte società di consulenza si sono impegnate nel raccontare come gli imprenditori si stanno preparando a questi cambiamenti. Per esempio, in uno studio di Boston Consulting Group dello scorso maggio si stimava che in Italia un dirigente su 10 intende impiegare sistemi di robotica avanzata entro 3-5 anni. E che il 70% dei manager si aspetta che l’autonomia e la flessibilità dei robot diventeranno un valore essenziale per l’azienda entro il 2025.
Ma se le imprese sono consapevoli, e si stanno preparando ad ‘assumere’ sempre più robot, cosa ne pensa chi lavora? C’è preoccupazione, ovvio. Ma una preoccupazione con gradi e toni diversi.
In una ricerca pubblicato il 5 agosto da Nature si è cercato di capire cosa un lavoratore prova davanti alla minaccia che un sia un umano piuttosto che un robot a rubargli il posto di lavoro. E se la preoccupazione per il proprio posto è uguale, gli esperimenti hanno suggerito ai ricercatori che le persone sono più inclini ad accettare che il proprio lavoro venga tolto loro da un robot piuttosto che da un umano. Anche se si dovesse trattare di un umano in grado di lavorare con un robot con competenze di cui gli intervistati non sono in possesso.
La ragione, spiegano i ricercatori, è piuttosto evidente: se il posto di lavoro è tolto da un umano, il lavoratore comincia a credere che qualcuno sia stato giudicato più bravo di lui nel fare qualcosa. Questo crea un maggiore senso di rabbia e frustrazione. Ma se questo qualcuno è un robot, i lavoratori giudicano la cosa con più fatalismo. Non si sentono tanto messi in discussione, quanto vittime di un processo tecnologico che punta inesorabilmente verso all’efficienza. E sul piano dell’efficienza e della precisione tutti sembravano già consapevoli di aver perso la partita.
Questo non vuol dire che non ci sia preoccupazione. Il report racconta che alla domanda su robotica e futuro del lavoro c’è timore per sé, per la propria famiglia, per la società in generale. Ma quando i gruppi degli esperimenti sono stati portati a spiegare come si sentono ‘loro’ in relazione alla possibilità di perdere il ‘loro’ posto di lavoro, si è giocato una partita diversa e più articolata nella lotta tra lavoratori umani e robot.
Eric Sadin suggerisce nel suo ultimo libro (Critica della ragione artificiale, 2019) che l’efficienza raggiunta dalle macchine con l’intelligenza artificiale abbia indotto l’umanità a cederle la capacità di dare forma al nostro mondo. In maniera consapevole, spontanea. La maggiore inclinazione di un lavoratore ad accettare che il proprio lavoro venga rubato da un robot piuttosto che da un umano ne sembra una conseguenza indiretta, questioni sociologiche a parte.