Ma è davvero così facile revocare una concessione come quella ad Autostrade per l'Italia? Di certo è la strada che il governo vuole percorrere, tanto che il ministro per le Infrastrutture, Danilo Toninelli, ha già mosso i primi passi formali per l'avvio della procedura. Ma fino a che punto può spingersi prima di incapare in clausole, codicilli e ricorsi?
Lo spiega il Sole 24 Ore, secondo cui, in linea di massima, una concessione è revocabile, se ci sono gravi motivi. E la posizione di Autostrade per l’Italia si è fatta difficile con il crollo di Genova, che peraltro è l’ultimo di una serie di episodi perlomeno controversi: il crollo di un cavalcavia dell’A14 l’8 marzo 2017 e di alcune pensiline di caselli e portali segnaletici intorno al 2010, il sequestro per alcuni mesi nel 2014 di un altro cavalcavia a rischio, denunce pendenti presso varie Procure e, non ultima, la sentenza sulla contraffazione del brevetto del controllo della velocità Tutor e il processo di Avellino per la morte di 40 persone su un bus precipitato dal viadotto Acqualonga della A16 il 28 luglio 2013. In quest’ultimo caso, sono coinvolti direttamente i vertici aziendali e la sentenza di primo grado è attesa per il prossimo dicembre.
Carte difficili da giocare
Sulla carta validi motivi, ma che bisogna dettagliare e per le quali serve il materiale in possesso della sua Svca (Struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali) che non ha mai brillato per efficacia.
Inoltre, è prevedibile che un eventuale provvedimento di revoca della concessione verrà impugnato da Autostrade, aprendo un contenzioso che non potrà non essere lungo e combattuto data l’importanza della posta in palio.
Poi chi pagherebbe?
Ma la faccenda non si concluderebbe con le carte bollate: bisognerebbe fare i conti con l'oste: nel caso delle autostrade c’è anche un problema concreto di finanza pubblica. Lo Stato non ha soldi da mettere per nuove costruzioni e ampliamenti. Tutto viene finanziato con capitali trovati dai gestori, che vengono remunerati come previsto dalle concessioni: con aumenti tariffari e proroghe delle concessioni.
Questo è, assieme alle eventuali collusioni, il motivo per cui lo Stato ha poco potere contrattuale nei confronti dei concessionari. E significa due cose: che le clausole previste dalle convenzioni danno pochi margini di manovra allo Stato per eventuali revoche delle concessioni e che una revoca ingenera tra gli investitori l’idea che finanziare il settore autostradale italiano non sarà più remunerativo come un tempo, provocando almeno nel lungo termine disimpegni e difficoltà nel reperire nuovi capitali.
E quanto costerebbe?
Almeno 20 miliardi, secondo quanto prevede il contratto. Anas dovrebbe pagare ad Autostrade per l’Italia un risarcimento pari ad un "importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di recesso, revoca o risoluzione del rapporto, sino a scadenza della concessione, al netto dei relativi oneri, investimenti e imposte nel medesimo periodo", con una serie di decurtazioni (qui il contratto consultabile sul sito del Governo).