Roma - Un mancato incremento in busta paga di almeno 212 euro lordi al mese: tanto è costato a tutti i dipendenti pubblici il blocco del rinnovo dei contratti. La cifra è indicata all'Agi da Michele Gentile, coordinatore del dipartimento del pubblico impiego della Cgil. Circa 3,3 milioni di dipendenti pubblici attendono il rinnovo da sette anni. Il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia ha aperto un tavolo con i sindacati e ha promesso che a settembre si partirà con il confronto, ma dopo la lunga attesa c'è preoccupazione. "Trentacinque miliardi per cinque anni come certificato dall'Avvocatura dello Stato nella memoria presentata alla Corte Costituzionale - spiega Gentile - equivarrebbero a 7 miliardi per ogni anno. Al lordo delle tasse, per 3,3 milioni di dipendenti pubblici significherebbe almeno 212 euro perse al mese per ogni anno, destinate a crescere. Questa sarebbe, sulla base di questi numeri, la perdita retributiva dovuta al blocco dei contratti". Al netto la cifra si traduce in 132 euro: dei 7 miliardi tornano nelle casse dello Stato circa 2,3 miliardi. Lo scorso anno una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco della contrattazione da agosto del 2015, escludendone la retroattività per evitare voragini nel bilancio dello Stato. L'Avvocatura generale quantificò poi il costo dei mancati rinnovi contrattuali, nel periodo 2010-2015, in 35 miliardi di euro.
Il segretario generale della Cisl-Fp Giovanni Faverin, sottolinea che i salari dei lavoratori della p.a. hanno perso 10,4 punti di Ipca (l'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi Ue). La richiesta dei sindacati è di un aumento di 150 euro ed "il minimo che serve per rinnovare i contratti è una cifra compresa tra i 7 e gli 11 miliardi" nel triennio. Secondo uno studio della Cisl-Fp, gli stipendi dei lavoratori pubblici sono tornati ai livelli del 2001: nel 2009 un lavoratore pubblico percepiva in termini nominali circa 4.300 euro in più rispetto ad un lavoratore del settore manifatturiero (circa 1.500 euro in più includendo sanità privata e terzo settore), mentre oggi un dipendente della p.a. percepisce 1.300 euro in meno all'anno di un lavoratore dell'industria (quasi 4.500 euro in meno includendo sanità privata e terzo settore). Nell'industria le retribuzioni di fatto in termini reali sono aumentate dell'1,1% dal 2001 al 2015 e dell'1,2% dal 2009 al 2015; nella P.a la variazione è stata nulla in 14 anni ed è scesa dell'1,8% dal 2009 (-1,7% nel settore istituzionale).
"Dal 2009 ad oggi - spiega inoltre Faverin - lo Stato ha risparmiato circa 11 miliardi, perché il costo degli stipendi, per il blocco del turn over e il mancato rinnovo contrattuale; il personale in 7 anni è diminuito di 207 mila unità". Il costo del personale è così passato da 169,9 miliardi del 2009 a 156,55 (escluso personale federazioni sportive, autorità portuali, casse previdenziali, fondazioni lirico sinfoniche, consorzi universitari, alcune spa) nel 2014. Ma per Faverin "non si può parlare di innovazione e di Industry 4.0 se non si affronta la sfida dell'efficienza della p.a. e della competenza del personale". Il ministro Marianna Madia vuole che nel rinnovo si privilegino i redditi più bassi: "Va bene l'attenzione a chi guadagna meno - risponde Faverin - ma bisogna anche dare la possibilità alle persone di riqualificarsi, occorre prevedere un ascensore professione e sociale. Per questo il punto vero è quante risorse ci saranno nella legge di Stabilità".
Per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego sono necessarie risorse certe afferma in una nota il segretario generale della Uilpa Nicola Turco. "Dopo sette lunghi anni di penalizzazione retributiva, la riapertura della contrattazione nel Pubblico Impiego presuppone la disponibilità di nuove risorse, che siano sufficienti a garantire un recupero adeguato del potere di acquisto da parte dei dipendenti pubblici". "La sentenza della Corte Costituzionale dello scorso anno sull'illegittimità del blocco della contrattazione - ricorda il dirigente sindacale - ne escluse la retroattività al fine di evitare una voragine nel bilancio dello Stato. Sul punto fu determinante la sponda che l'Avvocatura generale dello Stato offrì alla Consulta, nel momento in cui quantificò il costo dei mancati rinnovi contrattuali - nel periodo 2010-2015 - in ben 35 miliardi di euro". "Purtroppo - osserva Turco - si trattò di una quantificazione nettamente sovrastimata (più del 50%) dal momento che erroneamente (o appositamente) l'importo era stato calcolato al lordo di tasse e contributi previdenziali, mentre - in presenza di una stima più corretta e realistica - l'impatto sarebbe stato senz'altro più sostenibile e tale da non costituire un deterrente così forte alla retroattività della sentenza, andando poi ad incidere sulla problematica degli arretrati".
"Sappiamo comunque tutti che il costo di un rinnovo triennale dei contratti si attesta - a regime - intorno ai 7 miliardi di euro ed è quindi questa la cifra che il Governo deve mettere sul piatto della bilancia, diversamente sarebbe ragionare sul nulla. Che le risorse - a legislazione vigente - ci siano non è un mistero, lo abbiamo detto più volte e lo ribadiamo: agire sulla politica dei bonus, sulle consulenze esterne nella pubblica amministrazione, sulla reinternalizzazione dei servizi, sul sistema degli appalti e degli acquisti e restituire anche ai lavoratori il frutto del lavoro compiuto con la lotta all'evasione fiscale. Con tali azioni, raggiungere la cifra di 7 miliardi di euro a regime sarebbe un gioco da ragazzi, consentendo anche la destinazione di ulteriori risorse ad interventi mirati a rendere più funzionale la Pubblica Amministrazione (reclutamento di nuovo personale, formazione e aggiornamento professionale dei dipendenti, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, potenziamento delle tecnologie). "E non vorremmo neanche ipotizzare - prosegue Turco - che le notizie allarmistiche sulla frenata del Pil possano fare da apripista a nuove fumate nere sulla disponibilità delle risorse necessarie alla ripresa della contrattazione, perché ciò - è del tutto evidente - genererebbe una frattura insanabile, rendendo inevitabile l'apertura di un grave conflitto, che nessuno vuole in quanto dannoso per tutti, ad iniziare dalla funzionalità del servizio pubblico e dalle esigenze della collettività. è giunto il momento di cambiare la prospettiva in cui inquadrare il rinnovo contrattuale e, soprattutto, di riqualificare il lavoro pubblico, conferendogli il valore che gli spetta in quanto volano per lo sviluppo e la competitività del Paese". "Sia ben chiaro che il contratto deve essere un diritto garantito a tutti i lavoratori". "Noi non accetteremo e non consentiremo soluzioni diverse, mirate a dividere il mondo del lavoro. Dopo sette di blocco contrattuale - inaccettabile, illogico, ingiusto - la strada dei compromessi non è assolutamente percorribile. Mai più dovrà verificarsi il diniego al rinnovo dei contratti di lavoro e ciò sia per gli effetti economici sul presente sia per quelli previdenziali sul futuro. è una brutta pagina del nostro tempo, una pagina nera nella storia del lavoro pubblico che si chiude e sulla quale impediremo a qualsiasi Governo di tornare!". "In sede di trattativa, sarà inoltre indispensabile il confronto finalizzato a condividere le regole ed i criteri - oggettivi, trasparenti, imparziali - per costruire tutti insieme i sistemi per la valutazione del merito dei dipendenti, da utilizzare unicamente per la distribuzione di risorse aggiuntive per il salario accessorio, che pure dovranno essere individuate a tale scopo. Nessuno, infatti, pensi di applicare le nuove regole di valutazione alle risorse - anche accessorie - attualmente erogate, noi non siamo assolutamente disposti a tollerare interventi che possano comportare una diminuzione dei trattamenti accessori in essere!". "Di penalizzazioni - conclude Turco - ne abbiamo subite già troppe, come nessun'altra categoria di lavoratori e di cittadini. Ora vogliamo rispetto!". (AGI)