Ofo, la startup cinese delle bici condivise, ha chiuso la sua divisione internazionale e potrebbe essere costretta a dichiarare bancarotta. Lo ha rivelato il Financial Times, citando fonti dell’azienda che spiegano come la società starebbe preparando i suoi amministratori e dipendenti: “Siate preparati alla bancarotta, o a un’acquisizione”.
Bancarotta o fallimento. Detto altrimenti: i soldi, oltre 2,2 miliardi raccolti in due anni, sono finiti. La flotta europea, presente da un paio d'anni, a seguito della chiusura della divisione internazionale si sarebbe “drammaticamente ridotta”. E il mese scorso il suo fondatore, Dai Wei, avrebbe inoltre confessato che l’azienda ha un ‘immenso’ problema di fondi, e che avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di avviare il fallimento.
La notizia non è stata confermata né smentita dall’azienda, che parla però di "normali correzioni aziendali". Eppure non sarebbe la prima volta che un colosso del bike sharing si trovi costretto al fallimento. Già da anni infatti gli analisti parlano di bolla a proposito di un settore che ha promesso tantissimo, raccolto e investito miliardi di dollari, ma che mai è riuscito a generare utili.
Il fallimento di Bluegogo, i guai di Obike
Il primo scricchiolio arrivò a novembre del 2017. Allora fallì il primo colosso cinese del bikesharing, Bluegogo. Si trattava del terzo operatore per flotta e utenti, nato appena un anno prima e con 600 milioni di investimenti raccolti in una manciata di mesi.
Ma notizie di un imminente fallimento si sono rincorse questo autunno a proposito di OBike, altro gigante asiatico del bike sharing, che a fronte di una raccolta di 54 milioni nel 2017, appena nata, non è riuscita a sopportare la concorrenza dei competitori e ha gradualmente abbandonato le sue bici. Italia compresa (eclatante il caso di Roma e del cimitero di bici lasciato da Obike).
Il mercato del digitale tende naturalmente al monopolio. E chi non è abbastanza grosso tende a sparire, o a essere acquisito da un competitor più forte.
Il caso di Ofo però è singolare, perché Ofo era considerato "il gigante".
I piedi di argilla di Ofo Bike
Grazie ai miliardi raccolti dagli investitori, Alibaba su tutti, sembrava avere una potenza di fuoco pressoché infinita.
Quando a novembre 2017 sul palco del Web Summit di Lisbona si presentò il suo cofondatore, Zhang Yanqui, gli onori di casa li fece il padrone Paddy Consgrave in persona (onorificenza riservata a pochissimi) che la definì “la startup che sta crescendo più velocemente al mondo”, e ancora, "un caso unico nella storia".
Pubblico del Summit in delirio quando Zhang descrisse la loro crescita in Europa: presente in 300 città, Italia compresa, con percentuali di crescita molto anche superiori che in Cina. Non citava numeri, si guardava bene dal rivelare il fatturato, ma quell’intervista trasudava la certezza del futuro del settore.
Contava poco il numero effettivo di utenti, contava poco il vandalismo, la necessità di rinnovare continuamente la flotta, contava poco la difficoltà di diffondere la cultura delle due ruote in condivisione. Il futuro sembrava scritto, i soldi c'erano, bastava solo attendere.
Solo che adesso appare chiaro che il suo business sembra poco sostenibile. E si parla di bolla non senza ragione. Ofo è diventata il pesce piccolo. Lasciando forse spazio all’unica altra superstite del settore: Mobike, che ha raccolto meno di Ofo (928 milioni), ma che sembra non avere problemi dopo l'acquisizione da parte del colosso Meituan. Che al momento è anche il solo indiziato per la seconda ipotesi dei manager cinesi: l’acquisizione da parte di un altro gruppo.
Twitter: @arcangelo_