Sono Verbania, Sondrio e Crotone i capoluoghi delle province italiane che assumeranno più giovani entro il prossimo ottobre. Il risultato - scrive Il Sole 24 Ore - arriva da un focus del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro), sulla top 10 delle ‘province più giovani d’Italia': i territori che offrono più opportunità professionali alle risorse fino ai 29 anni d'età. Le posizioni vacanti si dividono tra industria e servizi, dagli ingegneri per le aziende di metallurgia a ruoli più legati alla stagionalità in ristorazione e turismo. Se si guarda all'offerta generale, anche oltre la soglia anagrafica dei 30 anni, le posizioni con più contratti in vista entro l’autunno saranno concentrate fra:
- Commercio (129.650);
- Servizi alla persona (127.200);
- Servizi turistici di alloggio e ristorazione (123.330);
- Servizi operativi di supporto alle imprese (90.230);
- Traporti e logistica (69.200);
- Industrie meccaniche ed elettroniche (43.160).
Su scala nazionale, la quota di assunzioni ‘giovani’ previste dalle imprese italiane oscilla da minimi del 25,9% a massimi di oltre il 40%.
Le quote di assunzioni
- Verbano-Cusio-Ossola (41,6%);
- Sondrio (41,1%);
- Crotone (40,6%);
- La Spezia (40,4%);
- Massa (39,2%);
- Torino (38,4%);
- Lecce (38,2%);
- Imperia e Genova (entrambe al 37,8%);
- Savona (37,5%).
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Le posizioni aperte in valore assoluto
In quest'ottica, la graduatoria assume una fisionomia un po' diversa. Ecco il numero di opportunità previste per ogni città:
- Torino - 37.030;
- Lecce - 9.600;
- La Spezia - 3.260;
- Savona - 3.240;
- Sondrio - 2.650;
- Massa - 2.490;
- Imperia - 2.270;
- Crotone - 1.950;
- Verbania - 1.730;
- Genova - 1.110.
“Ricomincia il turnover, ma bisogna uscire dalle ‘top 10’”
“La distribuzione per province è legata ai distretti. Ci sono realtà che, anche in tessuti industriali ‘deboli, esprimono professionalità con una forte richiesta”. Maurizio Del Conte, presidente dell'Anpal, commenta così al Sole 24 Ore la ripartizione “a macchia di leopardo” delle opportunità per under 30 che emerge tra varie regioni italiane. E vede di buon occhio un rinforzo degli incentivi alle assunzioni di giovani, se “possono aiutare a uscire da queste top 10 e allargare l'interesse per gli under 30 in maniera più omogenea - dice - . I giovani sono portatori di una specificità, sono richiesti perché freschi di formazione. E anche, senza nascondercelo, perché costano meno”.
La metà dei giovani occupati fa un lavoro diverso rispetto a ciò che ha studiato
L’accesso al mondo del lavoro per i giovani rimane un tema caldo sull’agenda politica italiana, nonostante ci siano alcuni segnali positivi. Secondo l’ultimo rapporto annuale Istat, per il secondo anno consecutivo il tasso di disoccupazione nel nostro Paese è sceso mentre quello di occupazione prosegue ad un ritmo simile a quello medio europeo e si attesta al 57,2%. Ma non tutti i giovani riescono a fare ciò che desiderano o meglio a trovare un lavoro in linea con le competenze acquisite nel corso degli studi. Da un’indagine Censis sul lavoro consapevole emerge proprio questo: per la metà dei giovani occupati c’è un ‘disallineamento’ tra competenze e lavoro.
Lavoro e competenze: per i laureati è più facile
Il 26,9% dei giovani attualmente occupati ritiene che il lavoro che svolge non abbia alcun tipo di connessione con il proprio percorso di studi o di formazione, mentre per il 22,6% esiste solo marginalmente. Per chi ha solo la licenza media la percentuale si alza, il 78,9% non trova alcun legame tra quello che fa e il proprio percorso di studi. Il dato non deve stupire trattandosi di persone che nella maggior parte dei casi svolgono attività di tipo strettamente esecutivo. Ma la situazione non migliora neppure per i diplomati o coloro che hanno una qualifica professionale. Il 61% ritiene che il lavoro che svolge non sia connesso o lo sia solo marginalmente. Solo il 35,7%, invece, dichiara che la sua occupazione sia in linea con il proprio percorso di studi. A essere soddisfatti sono i laureati e coloro che hanno anche un titolo post laurea. Quasi il 62% fa un lavoro in linea con ciò che ha studiato.
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Quali sono gli skill che contano
Impegno e determinazione sono i due elementi indispensabili per avvicinarsi al mondo del lavoro. Ne sono convinti i 1000 giovani tra i 25 e i 34 anni intervistati dal Censis. A puntare sull’impegno è il 67,7%, mentre il 66% ritiene importante la determinazione. Al terzo posto c’è l’aggiornamento continuo delle competenze in relazione all’evoluzione del mondo del lavoro (60,3%). Invece sulla rete di relazioni e sulla sua estensione si concentra circa il 50% degli intervistati, così come sul fatto di avvicinarsi al mondo del lavoro il prima possibile (49,6%). Meno irilevante - in netto contrasto con tutti gli studi settoriali in materia - è la disponibilità ad interpretare un percorso di formazione altamente specialistica (33,6%) e l’essere in possesso di una laurea (28,3%). Singolare, inoltre, che questi elementi vengano considerati meno determinanti rispetto alla passione e alla vocazione per il lavoro (46,5% ) e al fatto di aver svolto esperienze professionali durante il percorso di studio (42%).
La ripresa dopo la crisi
In Italia nel 2016, per la prima volta dall’inizio della crisi, aumentano gli occupati di età compresa tra i 15 e i 34 anni (+0,9%). Il tasso di occupazione cresce per i laureati, a conferma del ruolo importante dell’istruzione. Si attenua la crescita del lavoro atipico e cresce l’occupazione a tempo indeterminato. Per il terzo anno consecutivo cala il numero degli inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni.
Le ragioni della disoccupazione secondo i giovani
Le ragioni del tasso elevato di disoccupazione giovanile in Italia sono da individuarsi - secondo i giovani intervistati dal Censis - nello spostamento in avanti dell’età pensionabile (46,3%), nel mancato funzionamento dei meccanismi per l’incontro tra domanda ed offerta (38,8%) e nella crisi economica e la conseguente riduzione del tasso di assorbimento delle imprese (37,8%). La motivazione riconducibile ai giovani stessi e alla loro scarsa attitudine ad accettare lavori di basso profilo viene, invece, segnalata in misura del 20,2%. Seguono le accuse relative allo scollamento tra istruzione e competenze richieste dalle imprese (19,3%), alla pubblica amministrazione che ha smesso di assorbire forza lavoro (16,5%), e al sistema della formazione professionale (16,4%).