AGI - La 'locomotiva' d'Europa si è fermata. Per la Germania il 2024 è l'anno della stagnazione. L'Istituto Ifo ha tagliato a zero le stime di crescita del Pil per quest'anno dal +0,4 indicato in precedenza. L'ente di ricerca tedesco ha rivisto le previsioni anche per il prossimo anno: +0,9% nel 2025, anziché l'1,5% indicato nelle precedenti stime. L'economia tedesca dovrebbe raggiungerà una crescita dell'1,5% solo nel 2026. Un danno per tutta l'Europa ed il mercato comune.
Trentacinque anni dopo la riunificazione, che ha fatto decollare l'economia teutonica in corrispondenza con l'accelerazione del processo di crescita delle istituzioni comunitarie e poi con l'avvento dell'euro, la Germania si trova ad affrontare una crisi che l'Ifo definisce "strutturale". La catena produttiva e le infrastrutture del Paese non sembrano tenere il passo con la concorrenza, soprattutto quella dei mercati asiatici a partire dalla Cina. Pesano inoltre i contraccolpi di oltre due anni di conflitto in Ucraina, dato che la Germania aveva importanti legami commerciali con la Russia, a partire dal settore dell'energia.
Dalla crisi economica all'incertezza politica il passaggio è breve. Dopo i 16 anni di governo centrista di Angela Merkel, baluardo di crescita e stabilità, il Paese fatica a trovare un nuovo equilibrio politico. Il governo a trazione Spd di Olaf Scholz è in difficoltà, con l'estrema destra dell'AfD per la prima volta è arrivata in testa nelle elezioni dei Land, prima in Sassonia e seconda in Turingia. Da anni l'estrema destra in Germania sta crescendo, a partire dagli ex territori della DDR, dove il divario salariale con il resto del Paese non si è mai completamente colmato.
"L'economia tedesca è bloccata e langue nella depressione", spiega il capo del dipartimento Forecasts dell'Ifo, Timo Wollmershauser. E parla di una crisi strutturale con "investimenti troppo scarsi, soprattutto nel settore manifatturiero", e una produttività che "è stagnante da anni". Decarbonizzazione, digitalizzazione, cambiamento demografico, pandemia di Covid, shock dei prezzi dell'energia e nuovo ruolo della Cina nell'economia globale hanno messo sotto pressione i modelli di business consolidati e costringono le aziende a cambiare le strutture produttive.
Negli ultimi giorni è esploso il caso dei possibili tagli di personale in Volkswagen. La casa automobilistica di Wolfsburg non ha escluso la possibilità di chiudere uno dei suoi stabilimenti in Germania per ridurre i costi. I piani aziendali prevederebbero di tagliare dieci miliardi di euro di spese entro il 2026. Sarebbe la prima chiusura di un sito produttivo nei quasi novanta anni di storia dell'azienda. Contemporaneamente in Belgio i sindacati hanno lanciato l'allarme sull'ipotesi di stop per la fabbrica dell'Audi - stesso Gruppo - a Bruxelles.
È il settore manifatturiero a marcare il passo, un comparto che in Germania ha tradizionalmente un peso importante sulla produzione economica. Hanno un peso maggiore rispetto ad altri paesi le industrie ad alta intensità energetica che reagiscono agli elevati costi energetici, così come quella meccanica e l'automotive.
La debole attività degli investimenti privato, analizza l'Ifo, porterà presumibilmente alla chiusura di imprese e alla delocalizzazione della produzione. La stasi della produttività è accompagnata da spostamenti nella creazione di posti di lavoro. Anche nel settore edile e manifatturiero il portafoglio ordini degli ultimi anni si è arenato. I nuovi ordini tardano ancora ad arrivare.
Nell'incertezza i tedeschi tengono i soldi in banca. Il tasso di risparmio è ora pari all'11,3%, decisamente superiore alla media decennale del 10,1%. C'è almeno un dato positivo che riguarda l'inflazione, attesa in calo dal 5,9% dello scorso anno al 2,2% quest'anno e, successivamente, al 2% ed all'1,9%. Il tasso di disoccupazione salirà dal 5,7% dello scorso anno al 6% di quest'anno, per poi scendere il prossimo al 5,8%.