AGI - Davos anche quest'anno deve fare a meno dei party super esclusivi ed esosi, solitamente organizzati negli hotel stellati dalla delegazione russa in trasferta nella città grigionense: grandi imprenditori russi al seguito di Putin e del suo entourage, che, per il secondo anno consecutivo, sono rimasti fuori dal prestigioso World Economic Forum non solo perché "non graditi" ma perché i riflettori quest'anno si sono accesi sul leader ucraino, Volodymyr Zelensky, al suo primo, attesissimo, debutto sul palco più ambito del mondo.
Gli oligarchi russi, trapela da alcune testate locali, sono noti per la loro passione per feste incredibili e dispendiose, ovviamente innaffiate da fiumi di vodka e champagne, in location tanto prestigiose quanto costose. Numerosi esercenti a Davos avevano 'mugugnato' anche l'anno scorso rivelando ai reporter, in condizione di assoluto anonimato, che la spesa della delegazione russa a Davos (l'ultima volta che partecipò al Wef fu nel 2021) in soli tre giorni aveva speso circa 600mila franchi svizzeri (l'equivalente di quasi 650mila euro) solo in drink e pasti.
L'americana Blooberg rammenta peraltro che la delegazione russa, nel 2020, era addirittura la terza più numeroso a Davos: al seguito dei 'paperoni', scriveva, c'era anche un 'esercito' di ragazze regolarmente registrate come 'traduttrici' e 'interpreti'.
Mentre le autorità di tutto il mondo, comprese quelle svizzere, da due anni a questa parte si sforzano di sequestrare i beni dei tycoon russi e congelare i loro conti, pochi giorni fa ha fatto discutere ovunque il messaggio Telegram secondo cui il re dell'alluminio russo, Oleg Deripaska, in barba alle sanzioni, ha acquistato in Kazakistan, per i suoi viaggi d'affari, un jet Falcon 7X per 36 milioni di dollari.
Russian oligarch Oleg Deripaska bought a business jet for $36 million, bypassing sanctions
— NEXTA (@nexta_tv) January 5, 2024
This is reported by the Russian media.
The aircraft Falcon 7X 2016 year of production was bought by the company "Arsenal", associated with the billionaire. Jet was bought from Kazakh… pic.twitter.com/xNgtzJhYXx
Una vicenda che suona come l'ulteriore conferma dei dati diffusi la scorsa settimana da EconPol Europe, la piattaforma di politica economica delle tedesche Ces (Center of economic studies) e Ifo Institute con una rete globale di oltre 2mila economisti di fama mondiale incluso una dozzina di premi Nobel. Dati contenuti in uno studio che, di buona sostanza, certifica la scarsa efficacia delle sanzioni occidentali (in particolare europee) imposte a Mosca visto che, ancora oggi, a due anni dalla loro adozione, riguardano "solo il 32% dei prodotti dell'Ue".
Since the start of the war in #Ukraine, #EU exports to #Russia have fallen to 37% of their prewar level. Due to export #sanctions imposed by the EU and other Western countries, Russia is lacking around one-third of products compared to the prewar period.
— EconPolEurope (@EconPolEurope) January 9, 2024
https://t.co/ILv2iIWGsV pic.twitter.com/oL9YTcastz
Secondo EconPol Europe le sanzioni hanno fatto mancare alla Russia circa un terzo dei prodotti rispetto al periodo prebellico (precedente al febbraio 2022). L'attivismo del presidente Putin sul più vasto scacchiere internazionale, soprattutto in Asia e in Africa, ha infatti reso possibile in parte la 'sostituzione' dei tradizionali paesi d'importazione. Il leader russo non è solo riuscito a evitare l'isolamento internazionale cioè il primo obiettivo che l'occidente si prefiggeva, ma anche ad aggirare abbastanza bene il problema delle merci che, in teoria, dovevano mancare all'appello.
"Uno dei motivi per cui il volume delle esportazioni verso la Russia è ancora elevato è che solo il 32% di tutti i prodotti dell'UE è soggetto a sanzioni", evidenzia una nota di EcoPol Europe, senza tacere il fatto che la stessa nozione di 'beni di lusso', la categoria di prodotti presi di mira dalle sanzioni, in realtà può essere facilmente aggirata.
"Ci sono sanzioni contro le esportazioni di champagne in Russia, ma non di prosecco", ha per esempio rammentato Feodora Teti, direttrice di Ifo Institute sottolineando che l'analisi dei dati confermerebbe come, in molti casi, è possibile fare arrivare in Russia anche prodotti soggetti a sanzioni passando da Paesi terzi.
Lo studio inoltre certifica che nel 61% dei casi la Cina rifornisce la Russia di prodotti soggetti alle sanzioni, dato che oggi ne fa il primo Paese fornitore 'alternativo'. Anche la Turchia, nel tempo, si è sostituita ai paesi che oggi impongono sanzioni a Mosca: proviene da qui il 13% di tutti i prodotti su cui l'Occidente ha imposto sanzioni.
Studi come questi rischiano insomma di mettere in difficoltà proprio il Gotha della finanza internazionale che in questi giorni, a Davos, è alla ricerca di stabilità e certezza in un mondo segnato da tensioni crescenti e conflitti. Proprio il magnate Deripaska, dalla Russia, ha intanto fatto sapere, alla vigilia del Forum, che "è improbabile che si raggiunga la pace in Ucraina almeno fino al maggio 2025". "Peccato", ha aggiunto, che "anche quest'anno a Davos non sarà possibile portare avanti una discussione costruttiva sulla fine del conflitto perché non parteciperà alcuna delegazione russa".