AGI - Nuove tecnologie, algoritmi, intelligenza artificiale stanno ridisegnando il mondo del lavoro. Lavoratori e molte funzioni professionali tradizionali diventano obsolete, dunque superflue, anche se “storicamente i nuovi mestieri hanno compensato la distruzione dei vecchi”, sostiene il Paìs.
Per esempio, secondo le proiezioni del World Economic Forum 2020, tra il 2020 e il 2025 nel mondo verranno distrutti 85 milioni di posti di lavoro ritenuti superati, ma 97 milioni ne verranno creati con nuovi mestieri” mentre per le mansioni si stima che nel 2020 circa un terzo sia stato svolto da macchine e che nel 2025 sarà circa la metà. Una crescita, questa, "dovuta in gran parte all'aumento della connettività digitale e all'adozione della tecnologia, che sta orientando i posti di lavoro verso gli analisti di dati, scienziati, specialisti d’intelligenza artificiale o esperti di marketing digitale", spiega Sam Grayling, ricercatore all'Economic Forum. "Il numero totale si mantiene o addirittura aumenta, dimostrando che ci sono numerose sacche di nuova occupazione in grado di sostituire quella che scompare".
Insomma, l'automazione riguarda milioni di lavoratori in tutto il mondo ma il grande sviluppo tecnologico degli ultimi anni e quello futuro, però, “ha fatto scattare molti allarmi, prefigurando un possibile terremoto nei dati occupazionali, che però non si è verificato”, né gli esperti sinora interpellati ritengono che si concretizzerà, sostiene ancora il quotidiano madrileno. “Molti posti di lavoro cambieranno, ma non prevediamo un calo del numero di occupati”, insiste Stefano Scarpetta, direttore dell'area Occupazione e affari sociali dell'Ocse.
Tuttavia, un altro rapporto sul futuro del lavoro, pubblicato sempre dal World Economic Forum 2020, elenca le professioni in cui la domanda di lavoro sta diminuendo di più: “Registratori di dati, amministrativi, contabili o addetti alla catena di montaggio”, professioni con profili simili a quelle diminuite di più tra il 2007 e il 2018 negli Stati Uniti. Se poi si va a ritroso nel tempo, si vede ad esempio che tra il 1998 e il 2019 l'automazione ha causato una “polarizzazione dei posti di lavoro” con "occupazioni nella parte bassa e la parte alta della distribuzione salariale, mentre le occupazioni nella parte centrale diminuiscono” cosicché “la diffusione della tecnologia, spinta dal calo dei prezzi nel settore, ha dato vita a un processo di routinizzazione”: cioè, “i lavori più routinieri e quelli che sono al centro della distribuzione salariale, sono stati sostituiti dalle macchine”. L’effetto? Alti tassi di disuguaglianza.
In conclusione, “i robot non solo sostituiranno la classe media della distribuzione, ma provocheranno anche, aumentando la dispersione salariale, una crescita significativa della disuguaglianza economica", sostiene Raquel Sebastián, ricercatrice e specialista del Dipartimento di Analisi Economica dell'Università Complutense di Madrid. Ad attutire l’impatto, molto dipenderà dalla formazione dei dipendenti, vera chiave di volta della tenuta del lavoro. “Gli effetti molto differenziati che l'automazione sta avendo, a seconda del livello di istruzione, rendono necessaria la creazione di specifici programmi di istruzione e formazione affinché i meno istruiti possano acquisire le nuove competenze che il mercato del lavoro richiede”, conclude il ricercatore.
Del resto, questo stesso dibattito s’è già svolto tra la prima e la seconda rivoluzione industriale e s’è visto che nei periodi di grandi cambiamenti tecnologici “si è verificato che essi sono stati positivi sia rispetto alla ricchezza globale sia nell'effetto netto sul lavoro. Si spera che questa volta non sarà così diverso", chiosa Miguel Sánchez, economista del Dipartimento di ricerca dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), coautore del rapporto Social and Employment Outlook in the World: Trends 2023.