AGI - Il piano di emergenza della Commissione europea per il taglio del 15% del consumo di gas, nel periodo dal primo agosto al 31 marzo, concepito sui principi di unità e solidarietà, sta già spaccando l'Unione dei ventisette ancora prima di entrare in vigore. Tra gli ultimi Paesi a dire 'no' c'è anche l'Italia.
L'Italia è al momento tra gli Stati Ue più critici della proposta, si apprende da una fonte diplomatica. In particolare Roma non apprezza l’obbligatorietà dell’obiettivo del 15% ma anche la soglia viene considerata “troppo ambiziosa e difficile da raggiungere”. È poco digerita anche la scelta del principio di porre un target orizzontale e uguale per tutti.
La presidenza ceca dell’Ue in queste ore sta cercando di lavorare insieme alla Commissione sul testo per cercare di smussare al massimo gli ostacoli anche se non è chiaro se si riesca a trovare una soluzione in tempo utile per il Consiglio Energia di martedì.
Nella riunione della mattina - fanno sapere le fonti - il gruppo energia non ha fatto registrare particolari progressi (si discuteva ancora sul testo originale quindi le aspettative erano molto basse) e nel pomeriggio torna a riunirsi il Coreper (la riunione degli ambasciatori) al quale verrà probabilmente sottoposta una versione emendata.
Oltre una decina di Paesi è contraria, per un motivo o per l'altro. Quatro - Spagna, Grecia, Portogallo, Polonia - lo hanno già ufficialmente manifestato. Un quinto Paese - l'Ungheria - ha bussato alle porte di Mosca per chiedere la fornitura di altri 700 milioni di metri cubi di gas. Andando contro ogni strategia economica, energetica e politica di Bruxelles.
"C'è un rischio dell'interruzione totale della fornitura di gas da parte della Russia e noi ci prepariamo a questa eventualità. Il fatto che ci sia un dibattito tra gli Stati su una questione di questa portata non ci sorprende, direi che sia naturale, in un'unione di democrazia come l'Ue", ha minimizzato il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer. "Vorrei semplicemente ricordare se si concretizza lo scenario, colpirà tutti. Abbiamo visto nel passato a che punto l'Unione europea è ammirevolmente armata per uscire dalle crisi quando agisce in maniera unita. Gli esempi più recenti sono il Covid e la maniera di reazione all'invasione russa dell'Ucraina", ha spiegato. "Tutti gli sforzi della Commissione europea puntano a ridurre la nostra dipendenza dall'energia fossile russa. Non commentiamo le trasferte di questo o quell'altro membro di governo di questo o quello Stato membro ma è chiaro che l'obiettivo che abbiamo per l'insieme dell'Ue è di eliminare nel modo più rapido possibile la nostra dipendenza dall'energia fossile russa" ha concluso.
"Siamo pienamente convinti che è nell'interesse dell'insieme degli Stati membri, qualsiasi sia il loro grado di importazione del gas russo, di definire una risposta comune alle sfide che affrontiamo. E ancora la presidente della Commissione lo ha ricordato: proponiamo misure nel settore energetico ma le conseguenze che si faranno sentire andranno ben oltre il solo settore dell'energia. E impatteranno certamente su economia e mercato unico", ha evidenziato Mamer
A favore della proposta dell'esecutivo europeo, finora, si è sbilanciata solo la Germania. Prima per consumo di gas russo e tra i maggiori beneficiari dell'eventuale solidarietà Ue. Un elemento che ha portato diversi diplomatici europei a criticare "un piano cucito su misura per Berlino". Anche la Francia apre alla proposta della Commissione ma chiede prima "un'analisi perché le condizioni, anche di natura tecnica, sono diverse a seconda dei Paesi".
L'ultima a sommarsi alla lista dei contrari è la Polonia. "La Commissione propone un meccanismo di solidarietà del gas per i Paesi perché è a rischio la sicurezza energetica di chi è senza gas. Ci sarà lo stesso meccanismo per le aliquote Ets (meccanismo europeo per il controllo delle emissioni inquinanti)? Perché in Polonia questa tassa indebolisce il nostro settore energetico. Ci aspettiamo una vera solidarietà", ha lamentato la ministra dell'Ambiente, Anna Moskwa.
Secondo Varsavia, questa misura è "selettiva" e richiede "sacrifici e solidarietà" in "alcune aree e non in altre" che colpiscono soprattutto la Polonia, come il controllo delle emissioni di gas per arginare l'effetto serra, tema che preoccupa Varsavia a causa della sua dipendenza energetica dal carbone.
Spagna e Portogallo rivendicano invece l'ormai famosa "eccezione iberica". A causa delle limitate interconnessioni energetiche tra la penisola e il resto dell'Unione, i due Stati ritengono inutile e inefficace qualsiasi sforzo di riduzione dei consumi in solidarietà con i Paesi che potrebbero essere più colpiti.
Il sottosegretario portoghese per l'Energia e l'ambiente, Joao Galamba, si è detto "sorpreso dal fatto che un Paese che per anni è stato danneggiato dal non avere interconnessioni energetiche con l'Europa e che ha dovuto sempre comprare il gas più costoso sia ora chiamato a un meccanismo di solidarietà che presuppone interconnessioni”.
l clima non è molto diverso a Madrid. "Difendiamo i valori europei, ma non possiamo assumere un sacrificio su cui non ci hanno nemmeno chiesto un parere preventivo", ha detto ieri la vicepremier e ministra per la Transizione ecologica, Teresa Ribera. L'idea "non è necessariamente la più efficace, né la più efficiente, né la più giusta". "Qualunque cosa accada, le famiglie spagnole non subiranno tagli di gas o elettricità nelle loro case", ha sottolineato la ministra, che ha insistito sul fatto che la Spagna "difenderà la posizione" della sua industria. La Grecia torna invece a chiedere altre soluzioni: "Tetto al prezzo del gas e acquisti e stoccaggi comuni".
I malumori tuttavia si estendono anche ad altri Stati, tra cui Paesi Bassi e Danimarca che non condividono la forma. Ad esempio vorrebbero essere consultati, e poter dire la propria, prima che la Commissione possa dichiarare lo stato di emergenza energetica e quindi trasformare il taglio del 15% da volontario a obbligatorio. È una prerogativa che gli Stati non hanno alcuna intenzione di lasciare in mano alla Commissione. Secondo le regole attuali, oltre che per iniziativa della Commissione, l'obbligo scatta con la richiesta di tre Stati.
Sono tutte questioni che verranno discusse alle riunioni degli ambasciatori che si terranno venerdì e lunedì in vista della riunione straordinaria dei ministri dell'Energia di martedì che, nelle previsioni della Commissione, dovrebbe essere il momento di approvazione del piano. Per il via libera, trattandosi di un regolamento del Consiglio, è richiesta solo la maggioranza qualificata, ossia il 55% degli Stati membri a favore (15 su 27) che rappresentino almeno il 65% della popolazione totale dell'Ue. Non ci potranno essere veti e non è previsto alcun passaggio per il Parlamento europeo. D'altronde la misura dovrebbe entrare in vigore il primo agosto