AGI - Gli italiani sono attratti dalla sostenibilità ma non vogliono pagare per prodotti più sostenibili. È questo ciò che emerge dal nuovo report “The shape of retail”, realizzato dalla società di consulenza internazionale Alvarez&Marsal e dedicato al cambiamento dei valori negli acquisti dei consumatori.
Solo il 33% dei nostri connazionali, infatti, sarebbe pronto a sborsare una cifra superiore per acquistare qualcosa di più sostenibile, una percentuale ben al di sotto della media europea che si pone intorno al 40%; maglia decisamente nera in confronto ai cugini svizzeri che, invece, sono decisamente ben disposti a pagare la maggiorazione green con un sorprendente 63%.
Lo studio, condotto in collaborazione con Retail Economics, prende in esame un campione di 5.250 famiglie in Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera, Emirati Arabi Uniti e Regno Unito. “Mai come oggi - commenta Alessandro Ranzoli, Managing Director Consumer Retail Practice di A&M - è importante per i brand di beni di largo consumo comprendere i cambiamenti nei valori che orientano gli acquisti dei consumatori. Ne va della loro stessa sopravvivenza sul mercato”.
Il Covid ha profondamente cambiato le abitudini dei consumatori: in tutta Europa il 40% di loro ha cominciato ad acquistare online prodotti che in precedenza aveva comprato solo presso negozi fisici e la pandemia ha determinato un cambiamento di valori per quasi il 70% dei consumatori; in Italia la percentuale sale addirittura all’80% e il 31% afferma di considerare oggi il prezzo basso come criterio determinante per la scelta d’acquisto.
La centralità del prezzo nel determinare il valore di un acquisto porta con sé una serie di comportamenti interessanti da osservare. Se infatti Paesi come Regno Unito, Svizzera e Emirati Arabi non sono disposti a barattare la qualità per prezzi inferiori, questo non è vero per Francia, Germania e Italia. Il 24,5% dei consumatori italiani sarebbe pronto a scegliere un prodotto di qualità inferiore a fronte di un prezzo più conveniente.
Ma torniamo alla sostenibilità. I consumatori italiani, lo abbiamo visto, sono il fanalino di coda dell’Europa: solo il 33% dei nostri connazionali, infatti, sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto più sostenibile; lo farebbero, invece, il 63% degli svizzeri, il 55% dei tedeschi e il 50% degli inglesi.
Inoltre, fra tutte le questioni legate alla sostenibilità, quella più sentita, concorda il 31% dei consumatori, è il giusto compenso per i lavoratori; a seguire, la sostenibilità dei materiali utilizzati (21%) e le politiche di lavoro (13%). Dal punto di vista generazionale, possiamo notare che i più giovani, Generazione X in testa, sono sicuramente i consumatori più attenti alla carbon footprint e quindi all’impatto ambientale di un acquisto.
Alla luce di questi cambiamenti, quali devono essere le azioni che brand e rivenditori possono mettere in campo per intercettare appieno i bisogni di questi nuovi consumatori? “La crescente attenzione agli aspetti legati ai costi e le preoccupazioni per le incognite del futuro devono spingere i brand a definire una proposta di valore forte”, commenta Ranzoli. L’attenzione al costo, che rende altri aspetti sacrificabili, compresa l’esperienza di acquisto, suggerisce ai brand di “ridefinire il rapporto con il cliente”.
Le aziende dovrebbero investire ancora di più nella digital transformation e nei data analytics, per avere informazioni quasi in tempo reale sui cambiamenti nelle abitudini dei loro consumatori: l'uso della data science, combinato con una strategia di marketing mirata ai social network, può aiutare in modo decisivo a coinvolgere i clienti fornendo loro il contenuto giusto, al momento giusto, sul canale giusto.
La trasformazione digitale è fondamentale anche per il successo del retail, indipendentemente dalla categoria di prodotto. Le aziende devono assicurarsi di comunicare una proposta di valore chiara e coerente nel punto vendita e sulle piattaforme digitali, a cui i consumatori prestano sempre maggiore attenzione. I negozi devono evolversi in molti modi, riorientando la loro offerta al cliente in termini di esperienzialità e intrattenimento, ma soprattutto assicurando una sempre maggiore integrazione tra il fisico e l’online (ad es. click-and-collect, resi).
A essere al centro dell’attenzione sono anche aspetti più strutturali: "Il covid prima e le tensioni geopolitiche poi hanno messo in luce il bisogno di aggiornare i modelli operativi di molte aziende”, dice Ranzoli. Servono filiere di approvvigionamento più brevi, più agili, che sappiano gestire efficacemente eventuali shock delle materie prime. Occorrono relazioni più strette con i fornitori, per offrire prodotti e servizi a diversi price-point, senza compromettere la marginalità.
Le supply chain devono essere flessibili, in grado di cambiare rapidamente fornitore o paese di approvvigionamento, nel caso di persistenti problematiche di consegna. Anche in questo caso, risultano centrali il valore dei dati, per approfondire la conoscenza delle abitudini del cliente, e la costruzione di un’offerta sempre più su misura delle sue esigenze.