AGI - La Pubblica amministrazione non paga i fornitori e nel 2021 solo 2 ministeri su 14 hanno rispettato i tempi di pagamento. Lo denuncia l'ufficio studi della Cgia, secondo cui lo stock dei debiti commerciali di parte corrente della Pubblica amministrazione continua ininterrottamente a crescere: nel 2021 ha toccato il record di 55,6 miliardi di euro.
Una cifra che rapportata al nostro Pil nazionale è pari al 3,1 per cento: nessun altro Paese dell'Ue - sostiene la Cgia - a 27 registra uno score così negativo. I debiti di parte corrente sul Pil della Spagna sono pari allo 0,8 per cento, nei Paesi Bassi all'1,2 per cento, in Francia all'1,4 per cento e in Germania all'1,6 per cento.
Persino la Grecia, che l'anno scorso aveva un rapporto debito pubblico/Pil che sfiorava il 203 per cento, presenta un'incidenza dei debiti commerciali sul Pil quasi la metà della nostra: 1,7 per cento.
Secondo lo studio della Cgia, nel 2021 tra i ministeri con portafoglio, solo 2 su 14 hanno rispettato le scadenze di pagamento previste dalla norma (Transizione Ecologica, Istruzione, Università e Ricerca). Tutti gli altri, invece, hanno pagato in ritardo. Le situazioni più "critiche" si sono registrate al ministero dell'Interno (+67 giorni rispetto alla scadenza prevista per legge), alle Politiche Agricole (+ 42 giorni), alla Difesa (+33 giorni) e ai Beni Culturali (+21 giorni).
La situazione è addirittura in peggioramento: nei primi 3 mesi di quest'anno, infatti, dei nove ministeri che hanno aggiornato l'Indice di Tempestività dei pagamenti, solo quello delle Politiche agricole ha pagato in anticipo (-37,07 giorni). Tutti gli altri, invece, presentano un ritardo medio dei pagamenti: i più lenti nel saldare le fatture ricevute sono stati il ministero della Difesa (+18 giorni), quello delle Infrastrutture (+27 giorni), quello del Lavoro (+29 giorni) e quello dell'Interno (+47 giorni).
La Cgia segnala che nel computo dei debiti commerciali presentati nei giorni scorsi non sono inclusi quelli in conto capitale (ovvero quelli riferiti ai ritardi o mancati pagamenti per investimenti), che, secondo una stima dell'Ufficio studi potrebbero aggirarsi attorno ai 10 miliardi di euro. Sommandoli ai 55,6 di parte corrente spingerebbe l'ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra Pa a oltre 65 miliardi di euro.
Non sono poche - denuncia la Cgia - le imprese che anche in questi ultimi 2 anni sono fallite; non per debiti, ma per crediti con lo Stato che non sono riuscite a riscuotere, dimostrando come la macchina pubblica fatichi a rispettare i tempi di pagamento dei beni e servizi erogati dai propri fornitori, così come previsto dalla legge (di norma 30 giorni dall'emissione della fattura o 60 giorni per alcune tipologie di forniture, in particolare quelle sanitarie).
Cgia riconosce che negli ultimi anni i ritardi di pagamento, misurati con l'Indice di Tempestività dei pagamenti, sono mediamente in calo, anche se secondo la Corte dei Conti si starebbe consolidando una tendenza che vede le amministrazioni pubbliche privilegiare il pagamento in tempi brevi delle fatture di importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle di importo meno elevato.
Una modalità operativa che, ovviamente, penalizza le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli "riservati" alle attività produttive di dimensione superiore.
Tra le realtà amministrative pubbliche più in difficoltà nel saldare i fornitori Cgia segnala i Comuni del Sud. Nel 2021, infatti, dall'analisi dell'ITP emerge che l'amministrazione comunale di Lecce ha pagato le fatture ricevute con 50 giorni di ritardo (dato riferito al 3 trimestre 2021), a Salerno dopo 61 giorni, ad Avellino dopo 72 giorni, a Reggio Calabria dopo 154 giorni e a Napoli con 228 giorni di ritardo.
Nel capoluogo regionale campano, se si escludono i giorni festivi, i fornitori vengono pagati dopo un anno dalla scadenza prevista dalla normativa nazionale. "Se, ipoteticamente, almeno la metà dei 55,6 miliardi di euro di debiti commerciali fosse pagato quest'oggi, allineandoci così a un livello di mancati pagamenti sul Pil in linea con la media europea, quanti nuovi posti di lavoro si potrebbero creare? - si domanda la Cgia - Ovviamente, dare una risposta precisa a questa domanda è estremamente difficile. Tuttavia, con quasi 28 miliardi di euro in più in cassa non è da escludere che le imprese potrebbero utilizzare almeno una decina di miliardi per potenziare il proprio organico".
In linea ipotetica, secondo l'Ufficio studi della CGIA, questa grossa iniezione di liquidità potrebbe contribuire a creare almeno 250 mila nuovi posti di lavoro. Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, per la Cgia c'è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della Pa e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all'erario.
"Senza liquidità a disposizione - sottolinea la Cgia - tanti artigiani e altrettanti piccoli imprenditori si trovano in grave difficoltà e in un momento così delicato per l'economia del Paese è inaccettabile che i debiti della Pa nei confronti degli imprenditori siano in costante crescita dal 2017".