AGI - Ad aumentare le tensioni sui prezzi del gas non c'è solo la domanda globale che, complice la ripresa mondiale post-Covid, supera l'offerta e sta creando il cosiddetto 'energy crunch'. Un contributo non irrilevante al rialzo delle quotazioni arriva dai fattori geopolitici, da quelle aree di crisi, quei focolai che rendono i flussi di metano più difficoltosi.
La lite sul gas tra Marocco e Algeria
L'ultima crisi in ordine cronologico è quella tra Algeria e Marocco. Algeri ha annunciato che a partire dal 1° novembre, cesserà le forniture di gas al Marocco attraverso il gasdotto Europa-Maghreb. L'Algeria sta ora cercando di continuare le proprie forniture di gas alla Spagna attraverso un percorso alternativo bypassando il Marocco. Stessa dinamica di ciò che accade da diversi anni tra Mosca e Kiev.
L'Algeria devierà probabilmente il gas diretto al mercato spagnolo nel gasdotto Medgaz, una linea alternativa che passa sotto il Mediterraneo e collega direttamente Algeria e Spagna. L'Algeria è il principale fornitore di gas della Spagna, con una quota pari a circa il 30% del gas totale.
La decisione algerina di interrompere le forniture di gas al Marocco si inserisce nelle tensioni tra i due Paesi nord-africani, aggravatesi dopo che Algeri a fine agosto ha unilateralmente tagliato i propri legami con Rabat.
La Moldavia chiede aiuto alla Polonia
Altro centro di stress geopolitico recente è quello tra Moldavia e Russia. E' noto come Mosca attraverso l'energia tenti di stringere la morsa su alcuni paesi facenti parte dell'ex Unione Sovietica. Proprio per allentare questa dipendenza Chisinau ha acquistato un milione di metri cubi di gas naturale dalla Polonia nel tentativo di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento.
La scorsa settimana il Parlamento ha dichiarato lo stato di emergenza, dopo lo stallo registrato nelle trattative con la Russia per rinnovare i propri contratti di lungo termine. Il vice primo ministro moldavo Andrei Sinu ha dichiarato che la Moldavia chiederà a Mosca un "prezzo equo" per le nuove forniture. Il contratto tra Chisinau e Gazprom è scaduto alla fine di settembre e le due parti non hanno ancora raggiunto un accordo.
Gazprom ha fatto sapere che sospenderà le forniture se tutto il pregresso non sarà liquidato e un nuovo contratto non sarà firmato entro dicembre.
Il Turkstream non ha risolto i problemi di Ankara
Il Turkstream doveva risolvere i problemi energetici della Turchia ma così non è stato. Dopo l'avvio dell'operatività del gasdotto, avvenuta l'8 gennaio 2020 - che di fatto ha preso il posto del South Stream - il governo turco pensava di aver sottoscritto una sorta di assicurazione.
Ma l'aumento dei prezzi del gas e la scadenza di alcuni contratti a lungo termine, sempre con la Russia, sta mettendo in difficoltà anche i consumatori turchi. Già la scorsa estate il paese era stato in difficoltà a causa della forte dipendenza del paese dalla generazione idroelettrica.
A causa del grande caldo le dighe hanno smesso di lavorare per non consumare le scorte d'acqua e il paese da allora ha grandi difficoltà a soddisfare la domanda di energia.
La madre di tutte le tensioni, la guerra Russia-Ucraina
Arriviamo al nodo principale, il più grande: la guerra del gas tra Russia e Ucraina. Quella tra Kiev e Mosca è una storia antica di antagonismo, politico prima che energetico. L'ultimo capitolo rappresenta il Nord Stream2 ovvero l'ampliamento della prima pipeline che porta il metano dalla Russia all'Ucraina. Il progetto nasce proprio per bypassare l'Ucraina e far arrivare in Europa il gas russo senza tanti problemi.
Tanti gli oppositori al progetto. Primo tra tutti, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che lo scorso aprile ha definito il gasdotto come un'arma contro Kiev. Oltre all'Ucraina, anche una serie di altri paesi ha contrastato la seconda linea di approvvigionamento. Tra questi, la Polonia e tutti gli stati baltici che, tra le altre cose, temono di perdere le entrate derivanti dai diritti di transito del gas russo a causa del collegamento diretto tra Mosca e Berlino.
Ma il principale oppositore alla pipeline sono gli Stati Uniti, che da sempre definiscono il Nord Stream 2 come un "cattivo affare" per l’Europa. Al di là delle motivazioni geopolitiche, per Washington ci sono anche questioni commerciali. Gli Usa speravano infatti di sostituirsi alla Russia come fornitore privilegiato di gas con i loro carichi di gnl.
Ma un po' per il Covid, un po' per le politiche green dell'amministrazione Biden che stanno rallentando la produzione shale, un po' per i prezzi molto più volatili e quindi oggi meno convenienti rispetto ai contratti a lungo termine russi, l'intenzione è rimasta tale.
Europa in cerca di 'emancipazione'
Con la transizione green l'Europa vorrebbe 'emanciparsi' dalla dipendenza di Mosca ma i fatti stanno portando il Vecchio Continente nella direzione opposta. La dipendenza europea dal gas russo non è mai diminuita e dopo il Nord Stream (inaugurato dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel l'8 novembre 2011), il Nord Stream 2 la renderà ancora più stretta.
Una volta che saranno aperti i rubinetti, la Russia riuscirà a raddoppiare le forniture verso l'Europa portandole a 110 miliardi di mc all'anno. E appare molto difficile che i Verdi tedeschi, al lavoro per dare vita al nuovo governo con Liberali e Spd, terranno fede alle loro promesse in campagna elettorale di bloccare l'infrastruttura per motivi strategici ma anche ambientali. Il mercato - che si traduce in questo caso la crescente domanda di gas che ha l'Europa - probabilmente avrà la meglio sulla politica.