La Cina è il maggior emettitore di gas serra del mondo (con il 27 percento delle emissioni globali): le sue decisioni e la sua strategia per la neutralità carbonica influenzano pertanto il mondo intero, a volte anche più delle decisioni dei singoli paesi. Entro la metà del secolo, le politiche della Cina saranno di fatto determinanti per la ricerca della neutralità climatica, a livello mondiale; da qui il gran favore con cui lo scorso settembre è stato accolto l’annuncio del presidente Xi Jinping dell’impegno della Cina a raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060.
Al Climate Ambition Summit del dicembre 2020, illustrando gli elementi preliminari del nuovo contributo determinato a livello nazionale (NDC, Nationally Determined Contribution) che la Cina dovrà presentare, come tutti gli altri firmatari dell’accordo di Parigi, prima della Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26) prevista per la fine del 2021, Xi Jinping ha dato alcuni dettagli su come la Cina intenda perseguire i propri obiettivi, e ha dichiarato che il paese si propone di ridurre l’intensità di carbonio per unità di PIL di oltre il 65 percento rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030 (innalzando il precedente obiettivo del 60-65 percento) e di aumentare la quota di combustibili non fossili nel consumo energetico al 25 percento entro il 2030 (contro il precedente obiettivo del 20 percento).
Questi nuovi obiettivi non sono tuttavia propriamente stupefacenti, e portano anzi a dubitare della reale possibilità che la Cina raggiunga il picco delle emissioni prima del 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060. Questi dubbi sono inoltre aggravati dai continui investimenti cinesi nel carbone, che resta la fonte di oltre il 70 percento dell’elettricità del paese: infatti, anziché ridurre la propria dipendenza dal carbone, nel 2020 la Cina ha attivato 38 gigawatt (GW) di nuova capacità elettrica a carbone, pari all’attuale capacità di generazione di energia da carbone installata della Germania. Si potrebbe giustificare la Cina dicendo che nel 2020 la pandemia le ha reso difficile concentrarsi sugli obiettivi climatici, ma resta da vedere come e quando il paese rivelerà che cosa si proponga concretamente di fare per raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060.
Il XIV piano quinquennale
Per scoprirlo bisogna naturalmente guardare al XIV Piano quinquennale, annunciato al Congresso nazionale del popolo nel marzo 2021. I piani quinquennali sono la principale forza guida della politica cinese, a tutti i livelli di governo; purtroppo, tuttavia, in materia di misure climatiche il XIV Piano quinquennale non si dilunga su come si possano conseguire gli obiettivi fissati, limitandosi, di fatto, a delineare una semplice continuazione delle tendenze già in atto nell’azione per il clima e non una loro accelerazione. Fortemente concentrato sullo sviluppo del settore manifatturiero (con rigorosi obiettivi sull’innovazione guidata dallo stato, in particolare), il nuovo piano quinquennale non indica un tetto né per il consumo di carbone né per le emissioni, e, anzi, fa diversi riferimenti allo sviluppo del carbone, insistendo sul suo “utilizzo pulito ed efficiente”.
La mancata enfasi sugli obiettivi in materia di cambiamenti climatici non è certo un caso: essa asseconda infatti il forte orientamento del XIV Piano quinquennale all’autosufficienza della Cina nel contesto di un ambiente esterno sempre più ostile e, in particolare, nel quadro della competizione strategica tra Stati Uniti e Cina. La vera pietra miliare della ricerca cinese dell’autosufficienza è la strategia della doppia circolazione, in cui per circolazione s’intendono la produzione e il consumo di beni e servizi. La prima circolazione cui la strategia si riferisce è volta a mantenere l’integrazione con il resto del mondo, mentre la seconda circolazione, nell’interpretazione condivisa degli osservatori economici, s’incentra su una maggiore dipendenza dalla domanda interna e sulla riduzione della dipendenza economica dal resto del mondo. In realtà, tutto questo è in contrasto con la riduzione delle emissioni, perché la Cina ha bisogno di aumentare la propria produzione, e sarebbe estremamente difficile farlo mentre si riducono le emissioni.
Ma non ci sono solo cattive notizie: c’è infatti il fattore favorevole dell’invecchiamento della popolazione, che dovrebbe ridurre in modo naturale la domanda di beni e servizi e, di conseguenza, le emissioni. A parità di condizioni, tuttavia, la nuova politica del terzo figlio potrebbe rallentare l’invecchiamento della popolazione e quindi ostacolare gli obiettivi sulle emissioni.
Per quanto gli obiettivi del paese in materia di cambiamenti climatici rimangano difficili da conseguire, soprattutto nella misura in cui si legano alla strategia della doppia circolazione, la Cina ha recentemente annunciato che dai 1.095 gigawatt del 2020, la capacità di potenza di picco da carbone installata raggiungerà i 1.150 gigawatt entro il 2025, intento che indica come il paese sia sulla buona strada verso l’obiettivo del picco del consumo di carbone entro il 2025, in linea con l’impegno assunto dal presidente Xi Jinping di fronte alle Nazioni Unite. Per conseguire questo obiettivo si attendono comunque misure più stringenti per la riduzione delle emissioni nel periodo 2021-2025, a livello sia centrale sia locale. La recente storia economica della Cina mostra, tuttavia, che il governo a livello locale spinge per aumentare la crescita anziché ridurla, ostacolando in tal modo i progressi nella riduzione delle emissioni di carbonio.
Nonostante il tetto al consumo di carbone entro il 2025, appare più probabile che la Cina adotti un approccio graduale verso un mercato delle emissioni di carbonio, oltre al sistema di scambio di quote di emissioni di carbonio. La portata di questo sistema di scambio è stata limitata fin dall’inizio, perché l’ufficio per la pianificazione economica dà priorità al guidare la crescita economica piuttosto che agli obiettivi climatici.
Un percorso incerto
Nel complesso, gli obiettivi climatici della Cina sono importanti non solo per la Cina in sé, ma per il mondo intero. Senza il pieno impegno della Cina alla neutralità carbonica, non c’è molto che il mondo possa fare per conseguire i necessari obiettivi in materia di cambiamenti climatici, e questo per il semplice fatto che la Cina è il maggior emettitore del mondo. La Cina ha annunciato l’obiettivo della neutralità carbonica per il 2060, ma è difficile comprendere come il paese possa realmente conseguirlo, perché i suoi obiettivi sul breve termine sono alquanto indefiniti. Fatto ancor più importante, il da poco annunciato XIV Piano quinquennale non presta troppa attenzione agli obiettivi per il clima e si concentra piuttosto sull’obiettivo dell’autosufficienza cinese; si tratta di una situazione non certo positiva per gli obiettivi sul clima, in quanto sostanzialmente implicante una crescita della quota di valore aggiunto prodotta in Cina. Infine, il continuo contrarsi della forza lavoro cinese dovrebbe andare a favore degli obiettivi in materia di cambiamenti climatici, ma è difficile credere che questo possa bastare. Chiaramente, per mitigare i cambiamenti climatici serve ben più che una popolazione stagnante (o in calo), e la Cina ha la chiave per compiere l’impresa.
* Alicia Garcia Herrero è Senior Fellow presso il think tank europeo Bruegel e capo economista per l’Asia del Pacifico presso presso la banca d’investimento francese Natixis. Articolo pubblicato sul numero di luglio 2021 di We World Eenergy.
“WE World Energy è il magazine internazionale sul mondo dell’energia pubblicato da Eni - diretto da Mario Sechi - che con il suo portato di esperienza e scientificità si è guadagnato una posizione di grande rilievo nel panorama internazionale dei media di settore”.