Perché lo stallo dell'Opec+ sul petrolio preoccupa Fed e Bce
AGI - Lo stallo Opec+ preoccupa il mondo e i banchieri centrali. Nel caso in cui non dovesse essere raggiunto un accordo, i prezzi del petrolio salirebbero ancora di più, spingendo ulteriormente l'inflazione dei paesi Ocse (e non solo) e mettendo a repentaglio la ripresa economica globale.
Da inizio anno i prezzi dei due benchmark principali hanno guadagnato oltre il 50% con il Brent avviato a tornare a 80 dollari. La diplomazia dell'amministrazione Biden si sarebbe messa già in moto per evitare che domani i produttori di petrolio trovino un'intesa. Il presidente Usa, Joe Biden, è preoccupato per il fatto che un ulteriore rialzo dei prezzi dell'energia avrebbe conseguenze pesanti sugli automobilisti americani pronti a partire per le vacanze. Sul tavolo anche i livelli dei produttori di shale oil Usa che minacciano Russia e Arabia Saudita.
"I prossimi giorni dimostreranno quanta diplomazia sta mettendo in campo la Casa Bianca per evitare che il greggio ritorni a tre cifre", ha spiegato Helima Croft di Rbc Capital Markets. La domanda di petrolio per quest'anno è stimata in aumento del 6%. Se le scorte a livello globale continueranno a diminuire e i consumi, sostenuti dalla ripresa economica, a crescere ci potrebbe essere un balzo dei prezzi anche nel caso di una limitazione dei tagli dell'Opec+ domani. Insomma in un anno si è passati dal maggior taglio di petrolio della storia (9,7 milioni di barili al giorno) per il crollo della domanda a un'impennata della stessa.
I motivi dell'impasse
Ma perché questa impasse all'Opec+? C'è sostanzialmente una diversità di vedute tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Riad, scrive il Financial Times, vorrebbe un prezzo del greggio leggermente più alto per aumentare le entrate nelle casse del governo e per realizzare maggiori investimenti nel settore visto che è abbastanza chiaro che il mondo dipenderà dal petrolio ancora per un po'. Per questo Arabia e Russia hanno proposto la proroga del termine dei tagli da aprile 2022 a dicembre dello stesso anno. Abu Dhabi invece è contraria a tale ipotesi definita "ingiusta" e da aprile del prossimo anno vorrebbe avere meno vincoli sul greggio da vendere.
Oltre a ciò, c'è poi una questione di previsioni della domanda. Secondo Mosca e Riad questa sarà sostenuta nel 2021 ma potrebbe diminuire l'anno prossimo e quindi aprire completamente i rubinetti dei giacimenti non sarebbe scelta saggia.
A far discutere anche le quote. Gli Emirati chiedono che la loro produzione di base sia fissata a 3,8 milioni di barili al giorno contro gli attuali 3,168 milioni di bpd. Il paese infatti ha ambiziosi piani di crescita della produzione e hanno investito diversi miliardi di dollari per aumentare la capacità.