Ci sono voluti quasi due anni perché gli effetti dei bandi imposti dagli Stati Uniti a Huawei sconvolgessero il mercato della telefonia mobile, ma ora che il colosso cinese è stato costretto in un angolo dall’impossibilità di usare le app di Google e dal drastico taglio alla fornitura di componentistica, si scopre che in realtà quasi nulla è cambiato.
Come nel gioco ‘caccia alla talpa’, l’amministrazione Trump - le cui mosse in questo ambito sono state poi ampiamente confermate da quella Biden - ha picchiato duro su Huawei fino a farla quasi scomparire dal mercato consumer occidentale. Ma mentre il dipartimento del Commercio riusciva nell’impresa, un’altra talpa sbucava alle sue spalle. Anzi due, forse addirittura tre. E chi pensava che la guerra scatenata contro Huawei fosse a favore dell’americanissima Apple si è dovuto ricredere di fronte ai tutto sommato contenuti incrementi del brand al confronto all’esplosione di altri made in China.
I numeri del rapporto Idc appena diffuso parlano chiaro: il 2020 è stato per gli smartphone l’anno peggiore dal 2014 nel mercato Europa, Nord America e Medio Oriente, con una contrazione del 4% e un calo del prezzo degli smartphone dell’8,5%. Non significa che l’interesse o la spesa per la tecnologia si siano ridimensionati, perché nel 2020 – complice ovviamente la pandemia – il mercato dei pc che sembrava spacciato si è fortemente rivitalizzato.
In questo sconvolgimento, Apple festeggia: con una crescita del 10% ha chiuso il miglior anno di sempre nonostante il prezzo dei suoi iPhone sia aumentato. Ma nel settore iOS non ha rivali perché gioca da sola. Quello che ha veramente vissuto una rivoluzione nelle quote è il mercato di Android, dove i giocatori in campo sono tanti.
Samsung continua a dominare pur cedendo il 15,9% rispetto al 2019, mentre le quote perse da Huawei, pari al 35,8%, sono state cannibalizzate da altri brand cinesi: Xiaomi (+66,4%) e in parte minore dal conglomerato Bbk di cui fanno parte a vario titolo o intorno al quale gravitano Oppo, realme, OnePlus e vivo.
Il gioco di acchiappa la talpa, per l’appunto.
Ma il vuoto lasciato da Huawei non è solo di mercato. Con l’innovazione presentata di volta in volta nei suoi top di gamma era l’unica in grado di rivaleggiare con Samsung: a partire dai pieghevoli. Con Huawei costretta a rinunciare al 5G (il bando impedisce di usare questa componentistica nei suoi smartphone e le scorte sono in esaurimento) e a portare in Occidente solo costosi top di gamma che hanno il vulnus dell’assenza dei Google mobile services (il sistema operativo proprietario Harmony è ancora in fasce e nonostante gli sforzi e la spesa l’app gallery fa ancora molta fatica ad affermarsi) chi prenderà il suo posto in Europa?
Xiaomi, che pure può contare su un ecosistema che ruota intorno allo smartphone e va dai condizionatori ai frullatori, punta alla fascia media del mercato potenziando i sottobrand redmi e scommette poco o niente sull’innovazione. Resta il fatto che detiene il 6,8% del mercato con una crescita dal 2019 al 2020 del 66,4%. Una curva che ha già fatto drizzare le antenne agli Stati Uniti, tanto che Xiaomi è stata inserita nella lista nera delle aziende affiliate all'esercito della Repubblica Popolare, una mossa che preclude alle aziende americane la possibilità di investire in quella cinese.
Del resto Biden il 4 febbraio ha parlato chiaro al Dipartimento di Stato: gli Stati Uniti dovranno “affrontare gli abusi economici della Cina; contrastare la sua azione aggressiva e coercitiva; respingere l’attacco ai diritti umani, alla proprietà intellettuale e alla governance globale”.
E il prossimo passo potrebbe essere il bando per Xiaomi all’utilizzo di tecnologia americana, così come successo con Hauwei, anche se a questo punto a entrare seriamente in crisi non sarebbe solo Xiaomi, ma tutte quelle aziende che, come l’americana produttrice di chipset Qualcomm, fanno affari d’oro con gli smartphone cinesi.
E prima o poi l’occhio dell’aquila americana cadrà anche su un altro numero: quel 200% di crescita su base annua che Oppo ha fatto registrare in Europa occidentale, insieme alla proclamata intenzione di conquistare il continente, come in una partita a Risiko.
Quando AGI ha chiesto a Maggie Xue, presidente di Oppo Europa occidentale, se non teme che la sua azienda faccia entro un paio d'anni la fine di Huawei, la top manager si è precipitata a rispondere: “Noi non facciamo mica reti”. Un evidente riferimento a quello che era e resta il vero obiettivo dell’offensiva americana contro Huawei: distruggere il primato nell’infrastruttura 5G che si regge pur sempre su una buona percentuale di tecnologia made in Usa e che Washington considera a rischio di controllo di parte di Pechino.
In un colloquio con i giornalisti cui AGI ha potuto partecipare, Xue è stata chiara: obiettivo di Oppo è innovare sui device tenendosi alla larga dalle reti, come del resto fa Xiaomi. L’unico altro protagonista del 5G cinese, Zte, è sotto stretto controllo americano da quando il management si fece beccare a trafficare con Corea del Nord e Iran e fu costretto a pagare una multa da un miliardo di dollari e a sottoporre alla lente del Dipartimento del Commercio ogni sua mossa.
Dopo aver tentato nel 2019 una fuga in avanti presentando il primo smartphone senza foro per la telecamera nel display (salvo poi farsi battere sul tempo nella commercializzazione da Zte), Oppo ha mostrato capacità di innovazione andando oltre i pieghevoli grazie a un prototipo di display arrotolabile che potrebbe arrivare sul mercato nei prossimi mesi.
Oppo, insomma, sarà la nuova Huawei? I numeri li ha: 40.000 dipendenti, 10.000 dei quali sono impegnati nella ricerca e nello sviluppo, 12 centri r&d in tutto il mondo, 7,2 miliardi di dollari investiti in ricerca tecnologica nei prossimi tre anni. Non è poco, se si considera che è una azienda concentrata sul fronte consumer e senza un ramo business.
Del resto il rapporto più recente di Counterpoint attribuisce a Oppo da gennaio 2021 il 21% delle quote di mercato in Cina (la crescita delle vendite è stata del 26% anno su anno) seguita da vivo al 20% e da Huawei, Apple e Xiaomi, ognuna con il 16%.
Ma non ha solo gli stessi numeri su cui poteva contare Huawei al momento del suo sbarco in nel vecchio continente: ha anche lo stesso management. Maggie Xue era a capo di marketing e vendite, Arne Herkelmann, che oggi è a capo della gestione dei prodotti, ricopriva fino a febbraio lo stesso ruolo in Huawei Europa e in Italia hanno cambiato casacca Isabella Lazzini, e tutto lo staff di comunicazione.
Una storia già vista, che potrebbe avere una prima svolta nei prossimi giorni, quando verrà presentata la serie Find X3, da cui il mercato si aspetta molto. E che potrebbe far ricominciare il gioco: acchiappa la talpa.