Ha quasi settant'anni, Petrobras, e la sua storia è costellata da una serie di colpi di scena di cui la designazione di Bolsonaro di un ex generale alla sua presidenza è soltanto l'ultimo.
La compagnia petrolifera brasiliana venne fondata nel 1953 dal Governo del Presidente Getulio Vargas, come parte della sua politica di nazionalizzazione delle risorse naturali del Paese: il suo nome era in realtà un acronimo e stava per Petroleo Brasileiro.
Si sviluppò molto rapidamente, e si specializzò nell'estrazione di petrolio da scisto, il cosiddetto shale oil, e diventò in pochi anni un'azienda leader nello sfruttamento dei giacimenti offshore arrivando a produrre fino ad un milione di barili al giorno.
Ai tempi della crisi economica, negli anni Settanta, mentre gli altri governi dell'America Latina premevano l'acceleratore sulle privatizzazioni, il Brasile mantenne invece il controllo di Petrobras incentivandola a espandersi nei paesi vicini come Perù e Argentina.
Quando Lula arrivò al potere, nel 2002, la società conobbe un nuovo slancio e negli anni Duemila, grazie anche alla scoperta di importanti giacimenti come nel Bacino di Santos e di Campos, vide aumentare in modo esponenziale la propria produzione.
La sua visibilità accrebbe notevolmente, considerato anche l'impegno in numerosi progetti di sviluppo al di fuori dell'America latina, come in Cina o in Africa e così diventò un fiore all'occhiello non soltanto del Brasile ma di tutta l'America Latina.
Nei paesi confinanti, come in Bolivia, aveva inoltre una posizione particolare ma proprio nel paese andino nel maggio 2005 Evo Morales decise di nazionalizzare le risorse di gas e petrolio boliviane, e di affidarle nuovamente alla compagnia di bandiera Ypfb, chiedendo allo stesso tempo alle compagnie straniere altissime royalties. Questa fu la prima botta in testa per Petrobras.
Poi con il ribasso del prezzo del petrolio, cominciò il declino che culminò quando scoppiò il più grande caso di corruzione nella storia del Brasile: il cosiddetto scandalo "Lava Jato". Il 17 marzo 2014 vennero arrestati Alberto Yousseff – un trafficante di denaro – e Paulo Roberto Costa, un dirigente della Petrobras.
Il caso si chiamava così perché partiva da alcuni prestanome che tra le altre cose, utilizzavano per i loro fini una rete di lavanderie e stazioni di benzina (da cui il nome Lava Jato, ovvero autolavaggio).
Poi Costa decise di collaborare e grazie alle sue rivelazioni, affiorò un intricato sistema di corruzione e tangenti in cui erano coinvolti i vertici della compagnia petrolifera, insieme a quelli di altre grandi industrie del Paese come il gruppo edilizio Oderbrecht.
I partiti politici venivano in pratica finanziati grazie ai proventi ottenuti dai dirigenti che gonfiavano apposta il valore dei contratti dall'1 al 3%. Tutto ciò non fece che affossare Petrobras, la cui immagine venne duramente compromessa senza contare le ingenti perdite per miliardi di dollari.
La parola Petrobras divenne insomma sinonimo di corruzione.
Ad agosto 2015, erano state emesse 117 incriminazioni, cinque politici arrestati e procedimenti penali contro 13 società: nello scandalo era implicato non solo Lula ma anche la Rousseff.
Per il colosso petrolifero, gli ultimi anni sono stati quindi segnati da una significativa ristrutturazione, dovuta non solo agli effetti del maxi scandalo ma anche a seguito al trend ribassista dei costi del greggio, e oltre alla cessione di asset ha visto tagliare drasticamente gli investimenti.
Tuttora però, secondo la classifica Forbes Global 2020, resta la 70esimaa società pubblica più grande al mondo. Dopo quattro anni di rosso, il bilancio di Petrobras è tornato positivo nel 2018.
Nel report dell'Opec del febbraio 2020, secondo gli esperti, l'anno scorso il Brasile era in procinto di diventare il terzo motore di crescita per l’offerta non Opec dopo gli Stati Uniti e la Norvegia con un aumento della produzione brasiliana di 310.000 barili.
Poi, certo, è scoppiata la pandemia da Covid 19 e come tutte le altre compagnie del mondo, Petrobras ha dovuto farci i conti.