AGI - Google sgonfia i suoi palloni: il progetto Loon si ferma. Concepito nel 2011 per portare connettività in zone prive di infrastrutture di rete per mezzo di palloni aerostatici, il progetto non regge a livello finanziario: “Non abbiamo trovato un modo per ridurre i costi a tal punto da rendere l'attività sostenibile a lungo termine”, ha spiegato in un post il ceo Alastair Westgarth.
Dalla prima attività commerciale alla chiusura
La debacle non era attesa: visti i traguardi raggiunti nel 2020, Loon sembrava destinato a espandersi. Il 5 maggio ha stretto una partnership con AT&T per portare connettività nelle aree colpite da disastri naturali, come già fatto in via sperimentale nel 2017 a Porto Rico (spazzato dall'uragano Maria) e nel 2019 in Perù (colpito da un terremoto).
Il 12 maggio, ha firmato un accordo con Vodacom per servire due province del Mozambico. Ma soprattutto, il 7 luglio ha annunciato l'attivazione del primo servizio commerciale, in Kenya. Loon copriva 50 mila chilometri quadrati, utilizzando (a regime) 35 palloni e allacciandosi all'operatore locale Telkom. Gli abbonati potranno continuare a utilizzarlo fino a marzo.
Progressi tecnologici e problemi finanziari
Alphabet (ai tempi ancora Google) aveva puntato su Loon per portare Internet ovunque. Per fare da ripetitori, i palloni aerostatici adottano lo stesso principio dei palloncini del luna park, spinti verso l'alto perché pieni di elio, più leggero dell'aria. Solo che sono grandi quanto un campo da tennis e salgono nella stratosfera, a 32 chilometri d'altezza.
Gonfiare un mega-pallone, però, non è la parte più difficile. Nel 2013, l'allora capo progetto Mike Cassidy spiegava quali fossero le vere sfide. Rileggerle oggi spiega quanto Loon fosse complesso e offre alcuni indizi sul perché non sia stato sostenibile. I palloni non sono ancorati al suolo e non sono quindi delle stazioni fisse. Se da un lato questo permette di avere un'infrastruttura mobile, più flessibile, scalabile e (potenzialmente) meno costosa, dall'altro pone un problema: come “guidare” i palloni? Un po' come avviene per le mongolfiere (ma con l'energia solare al posto della fiamma), il team di Loon ha sviluppato un sistema capace di variare l'altezza per intercettare venti e correnti che trasportassero i palloni dove necessario.
Sì, ma come capire dove sia necessario? Tutto viene coordinato da algoritmi che richiedono parecchia capacità di elaborazione, spiegava Cassidy. “Loon – conferma Westgarth – è stato un pioniere dei software che gestiscono le costellazioni di veicoli di connettività, permettendo di fornire il servizio giusto nell'area giusta al momento giusto”. Loon ha dimostrato che è possibile. Ma non è bastato.
Perché Google voleva volare
Ma perché Google aveva puntato sui palloni? La ratio del progetto è stata ben spiegata proprio nel post di commiato. Molte società tecnologiche esplorano nuovi campi per raggiungere “il prossimo miliardo di utenti”. Un modo elegante per dire che c'è sempre bisogno di una platea nuova: chi la raggiunge vince. Loon guardava già oltre, non al prossimo ma “all'ultimo miliardo di utenti”. Cioè a coloro che sono totalmente esclusi da connettività e digitalizzazione, in modo da dare una copertura globale.
Un principio lodevole, che però non va confuso con la beneficenza: Alphabet (così come Facebook, altro gruppo che ha abortito il proprio progetto di connettività volante, Aquila), oltre a guadagnare in modo diretto da Loon, ha tutto l'interesse perché chiunque possa accedere a Internet. La ragione è banale: la connettività è la base per ogni suo servizio. E i margini di crescita sono più ampi nei Paesi arretrati o in via di sviluppo che nel già maturo occidente.
Le scommesse di Alphabet
Ecco perché Alphabet ha dedicato tempo e risorse a Loon. È nato nella pancia di X, la divisione del gruppo che sviluppa “tecnologie che suonano fantascientifiche e che potrebbero un giorno rendere il mondo un posto radicalmente migliore”. È qui, nelle stanze di X, che sono stati concepiti i Google Glass e le applicazioni di guida autonoma che poi sono sfociate in Waymo.
Soluzioni che potrebbero aprire scenari talmente ampi (e remunerativi) che vale la pena “scommettere” qualche miliardo l'anno. Proprio così sono infatti iscritti a bilancio i progetti più futuribili: “Other bets” (cioè, appunto, “altre scommesse”). Nel 2019 hanno fatturato 659 milioni di dollari (appena lo 0,4% del gruppo), con un risultato operativo in rosso per 4,8 miliardi. Una scommessa più che sostenibile per una società che ha chiuso lo scorso anno con un fatturato di 46 miliardi e un utile di 10,6. Anche perché la posta in gioco vale abbondantemente la puntata.