Si interrompe la trattativa tra Federmeccanica-Assistal e sindacati sul rinnovo del contratto nazionale di 1 milione e 400 mila lavoratori metalmeccanici. Dopo quasi 11 mesi e 13 incontri, il tavolo è saltato sulla questione salariale. Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato lo stato di agitazione e il blocco delle flessibilità e degli straordinari; in alcune fabbriche vi sono stati scioperi spontanei decisi dalle Rsu, in particolare in Piemonte. Ora partiranno le assemblee, per scegliere le forme di lotta da mettere in campo.
La richiesta sindacale è di un aumento in media di 156 euro; la controparte datoriale propone un contratto di garanzia con minimi contrattuali legati all'inflazione (Ipca), che corrisponde a un aumento di 40-42 euro nei prossimi tre anni. In più Federmeccanica mette sul piatto la disponibilità a definire insieme le misure piu' efficaci per diffondere i premi di risultato in ogni azienda metalmeccanica. Troppo poco per i sindacati, secondo cui “non è accettabile che i metalmeccanici abbiano i minimi salariali più bassi in Italia, con differenze fino a 400 euro lordi mensili, prendendo in otto anni, dal 2016 al 2024, aumenti salariali irrisori".
Secondo Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica, la posizione assunta è "coerente e pragmatica, figlia della realtà del momento", quella cioè di una crisi pesantissima. "La trattativa - afferma - si è interrotta nostro malgrado". "Noi abbiamo detto che eravamo disposti a continuare il confronto in maniera positiva e costruttiva, toccando tutti i temi in programma, per poi fare un bilancio complessivo, perché il contratto e' fatto di tante parti, non solo della parte economica. Ma a condizione che non ci siano blocco della flessibilità e dello straordinario durante il negoziato". "Finché non è terminato il percorso - insiste - non ci devono essere scioperi o stati di agitazione".
Secondo i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Alberto Benaglia, Francesca Re David e Rocco Palombella, la responsabilità della rottura è degli imprenditori, che hanno interrotto il tavolo negoziale, non confermando i tre incontri già calendarizzati. Le difficoltà produttive - sostengono - non possono essere un alibi continuamente minacciato per non fare il contratto e non possono essere sempre i lavoratori a pagare il conto della crisi.