AGI - È il turismo il settore che più degli altri paga gli effetti della crisi del Coronavirus. Dall'occupazione alla fiducia tutti gli indicatori evidenziano che si sta procedendo a grandi passi verso una crisi strutturale. Il differente livello di estensione delle chiusure e le conseguenze prodotte dal lockdown sull'economia italiana hanno determinato diversità rilevanti tra i settori economici, esponendo in particolar modo turismo e attività ricettive, ad una crisi senza precedenti. E' la fotografia che emerge dal Focus diffuso dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro e dal calcolo di Swg redatto per conto di Confturismo-Confcommercio.
Gli effetti sull'occupazione
Secondo quanto rilevano i consulenti del lavoro, tra giugno 2019 e 2020, il mercato del lavoro italiano ha subito un crollo di 841 mila occupati (-3,6%) e il settore turistico, alberghi e ristoranti, in particolare, nel secondo trimestre, ha registrato un calo occupazionale di 246 mila unità (-16,1%), di cui 158 mila nei servizi di ristorazione (-13%) e 88 mila nel settore degli alloggi: quest'ultimo ha visto crollare la base occupazionale del 28,3%.
Poco credibile il recupero posti di lavoro
Per quanto durante la stagione estiva il settore possa aver registrato un lieve recupero, la gravità degli effetti prodotti dalla pandemia, in particolare nel comparto ricettivo, rende poco credibile un recupero occupazionale nel breve-medio periodo. L'elevata stagionalità dell'occupazione in questo ambito ha inoltre determinato la cessazione di molti contratti a termine e il sostanziale abbattimento delle assunzioni. Complessivamente la crisi del settore ha contributo a determinare il 29,3% delle perdite occupazionali tra giugno 2019 e 2020.
Passato lo schock Covid, resta la recessione
Settimo risultato consecutivo pesantemente al di sotto dei valori pre-Covid dell'indice di fiducia del viaggiatore italiano. Secondo il calcolo di Swg per conto di Confturismo-Confcommercio a settembre, il valore si attesta a 57 punti (su scala da 0 a 100), 12 in meno rispetto a settembre 2019. Ma non è questo l'unico segnale di allarme. L'indice ha fatto registrare, tra febbraio e maggio di quest'anno, valori ben più al di sotto delle medie di stagione; tuttavia da luglio l'andamento dell'indice torna ad avere le stesse oscillazioni dell'anno precedente ma sempre, sistematicamente, con 10-12 punti in meno. In pratica, la domanda sembra avere sì superato lo shock del Covid-19, ma assestandosi su valori notevolmente più bassi rispetto al passato.