AGI - Cesare Romiti amava la Cina. Con intuizione (e ambizione) aveva contributo enormemente allo sviluppo delle relazioni sino-italiane. Nel 2016, intervistato da AgiChina, aveva raccontato come l'Italia avesse mosso i primi passi in Cina guidata proprio dalla Fiat. Un approccio riuscito tanto che Romiti era stato insignito della cittadinanza onoraria della Cina, 46esimo uomo al mondo a ricevere questo titolo.
Da Presidente della Fondazione Italia-Cina, l'accreditata organizzazione milanese che promuove iniziative economiche e politiche rivolte a Estremo Oriente, aveva ricostruito i primi contatti con la Cina come capo d'azienda negli anni '80. “In quegli anni Fiat aveva già rapporti con la Cina, anche in forma riservata; il Paese voleva costruire nella città di Nanchino una fabbrica di automezzi non pesanti. Si rivolse a noi, che all'epoca eravamo Iveco” aveva raccontato “Ci avevano visitato, come noi avevamo visitato loro, e ci avevano detto che erano disposti a mandare il personale in Italia per un periodo di formazione”.
Arrivarono in Piemonte, vicino a Torino, mille persone. “In questa regione tradizionalmente chiusa i mille cinesi rimasero un anno intero. Un'esperienza che credo non si sia mai più verificata, né in Italia né nel resto d'Europa. Quando delle persone arrivano in un territorio e vi passano tutto questo tempo, si istituiscono rapporti personali; molti di questi signori impararono l'italiano, e molti italiani impararono il cinese”. Un anno dopo, venne inaugurata la fabbrica a Nanchino, che è “sempre stata considerata dal governo cinese un modello”.
La convinzione che l'Italia potesse fare con la Cina grandi cose, rese Romiti il Bastian contrario. Nel nostro Paese imperava la paura della Cina, percepita come minaccia. Romiti era animato da una semplice intuizione: “Quando andavo a Nanchino e qualche operaio o tecnico, si rivolgeva a me esclamando “Buongiorno, signore” in italiano, capivo che poteva nascere qualcosa di importante”.
La Fiat aveva allacciato rapporti con la Cina nel 1970, l'anno in cui l'Italia ristabilì i rapporti diplomatici con il Dragone. “In quello stesso periodo, fondammo l'Istituto Italo Cinese. Il presidente era Vittorino Colombo, il quale mantenne la carica per diversi anni. Quando il Senatore Colombo mancò nel 1996, l'Istituto rimase per qualche anno in balia di se stesso. Poi un giorno mi chiamarono per propormi la presidenza. L'idea mi piacque. Perché della Cina avevo capito qualcosa che altri europei non avevano compreso”.
“In Cina il comunismo non c'è più anche se esiste ancora il Partito Comunista Cinese. I cinesi hanno saputo unire due cose antitetiche: comunismo e libero mercato. La Scuola del PCC a Pechino non è un palazzo, è una città da cui nascono i quadri dirigenti”. Il Comunismo oggi è una burocrazia. “La Cina ha tra le classi dirigenti più efficienti al mondo".
Quando ne assunse la presidenza, Romiti non ebbe dubbi: valeva la pena trasformare l'Istituto Italo Cinese in Fondazione Italia Cina. Creare qualcosa che potesse dare l'idea dell'avvenire del mondo in cui la Cina avrebbe giocato un grande ruolo. “La costituzione della Fondazione, nel 2003, mi costò fatica. Fui avversato moltissimo”.
Contraria all'arrivo dei cinesi in Italia, la classe politica italiana di allora (governo Berlusconi, ndr). “Io sostenevo che la Cina fosse una grande opportunità per il mondo occidentale, e in particolare per l'Italia, mentre i nostri politici sostenevano esattamente il contrario” raccontava Romiti.
Tra i leader cinesi che Romiti conobbe personalmente ci sono Jiang Zemin, Li Peng, Zhu Rongji , Hu Jintao, Wen Jiabao, Xi Jinping, Li Keqiang". “Jiang Zemin era un uomo interessantissimo. Lo conobbi in Russia, poi lo rividi in Italia dove venne un paio di volte. Un uomo aperto, chiacchierava volentieri”. C'è qualcosa che accomuna i leader di Pechino: “Tutti sostenevano che Italia e Cina fossero i Paesi con la tradizione culturale più lunga di qualsiasi altro Paese e che per questo motivo non potessero che andare d'accordo”.
“Quando andavo in Cina venivo ricevuto come un capo di stato. Questo mi ha permesso di avere con i dirigenti di Pechino un rapporto che superasse il protocollo. Anche con Xi Jinping, che ho conosciuto prima che diventasse presidente e ho rivisto da presidente a Roma, in occasione dell'anno della cultura cinese in Italia”.
A Romiti piace la Cina moderna perché vive nel passato. “La forma, i cinesi, la osservano ancora molto. Il protocollo, è quello dell'ex Impero. La Cina è impregnata del proprio passato come nessun altro paese. I cinesi si rifanno sempre alle proprie tradizioni. Hanno la capacità di aggiornarle, fermo restando i punti di riferimento. Una grande forza”.