AGI - Cesare Romiti ci ha lasciati. Scompare un altro dei grandi che hanno guidato il Paese in posizione di rilievo nel mondo. Alcuni lo considerano un personaggio controverso, io non posso che parlarne bene per almeno tre motivi. Si circondava di personaggi colti di diversa tendenza politica e li stava a sentire, anche se, ovviamente, non sempre seguiva i loro consigli; creò e ospitò più volte le riunioni del Club dei 12, che la stampa considerò un gruppo influente sul piano politico.
Erano gli anni della rivolta sindacale, delle Brigate Rosse, del sorpasso comunista e della crisi petrolifera. L’Italia era alle soglie della dissoluzione. Non so se le discussioni in quel Club ebbero un ruolo, ma la Marcia dei quarantamila a Torino, da lui propiziata, rappresentò una svolta della politica italiana che Bettino Craxi raccolse con abilità.
Verso la fine del decennio successivo mi propose di entrare nel gruppo di società che aveva creato dopo la sua uscita dalla Fiat, che comprendeva anche il "Corriere della Sera" e divenne il suo impegno culturale e politico. Prodigo di consigli, era aperto alla discussione e rispettoso dell’autonomia decisionale della carica ricoperta da me e dai due figli, Maurizio e Piergiorgio. Non ha mai, dico mai, sollecitato legami politici irregolari, rispettando il patto che avevamo raggiunto all’atto dell’accordo.
Di seguito i miei rapporti con lui sono continuati nell'Aspen Institute, dove ricopriva la carica di Presidente onorario e per anni ha rimarcato la sua qualità che mi spinge a definirlo un grande, ancor più pensando ai giorni nostri: continuo impegno propositivo per il Paese, valorizzazione delle eccellenze italiane all’estero, spinta al rigore gestionale, severità verso coloro che pensavano solo a se stessi. Era veramente un Cesare.