Sul colosso Volkswagen pende la spada di Damocle di 60 mila cause in tribunale. La Corte federale di giustizia di Karlsruhe ha infatti emesso la sua sentenza: gli acquirenti di automobili diesel dalle emissioni ‘manipolate’ possono restituire la macchina e pretendere il risarcimento di un’ampia parte del prezzo.
Si tratta di un passaggio cruciale nello scandalo dieselgate: non solo perché è un verdetto paragonabile a quelli della nostra Cassazione, ma perché orienterà decine di migliaia di procedimenti giuridici a venire, dato che stabilisce il principio del rimborso per le macchine le cui emissioni dei gas di scarico erano state manipolate dai software installati sulle auto della casa automobilistica di Wolfsburg.
“Questa sentenza stabilisce la certezza del diritto per milioni di consumatori in Germania, e dimostra ancora una volta che anche un grande gruppo industriale non può stare al di sopra della legge”, afferma l’avvocato Claus Goldenstein, che oltre al denunciante di questo caso specifico – un pensionato della Renania Palatinato – rappresenta altri 21 mila acquirenti di veicoli a diesel della Volkswagen. E c’è pure il fatto che la decisione dei giudici di Karlsruhe quasi certamente farà da apripista alle cause nei confronti di altre case automobilistiche che abbiano montato sistemi ‘illegali’ di controllo delle emissioni sui propri veicoli.
La denuncia del signor Helbert Gilbert era stata presentata nel 2014: aveva comprato per circa 31.500 euro una Vw Sharan usata con un motore diesel EA 189, su cui appunto era stato applicato il software incriminato, il cui effetto di indicare emissioni inferiori al previsto, mentre il gas di scarico effettivo è ben maggiore. La corte di Coblenza gli aveva riconosciuto un risarcimento di 25.600 euro riconoscendo il “danneggiamento intenzionale”, sottraendo alla cifra complessiva l’ipotetico deprezzamento legato all’utilizzo della vettura. Ambedue le parti in causa avevano presentato ricorso. “Nella sostanza abbiamo confermato la sentenza del tribunale di Coblenza”, riferisce da parte sua il presidente della Corte, Stephan Seiters.
Rimane aperta una serie di questioni giuridiche. La Corte suprema di giustizia ha in calendario per questo luglio altri tre procedimenti per casi legati al dieselgate, e certo non saranno gli ultimi, anche se altre decine di migliaia di automobilisti hanno già concluso intese o patteggiamenti. Già prima della sentenza l’avvocato Sven Bode dell’associazione MyRight parlava di “pietra miliare”, considerando appunto che i vari tribunali regionali si sarebbero orientati sulla sentenza di Karlsruhe, aprendo un vaso di Pandora legale nei confronti della Vw. È la stessa casa automobilistica ad aver calcolato che sono in ballo almeno altre 60 mila cause.
Tre giorni fa l’avvocato Goldenstein affermava di aspettarsi che dopo questa sentenza “ci sarà una moltiplicazioni di cause, perché molti acquirenti sapranno che possono presentare denuncia senza correre rischi”. È questo “il vero inizio” del dieselgate, secondo il legale. Rincara la dose l’avvocato Christian Brade: “Il dieselgate occuperà i tribunali almeno per altri cinque anni”. “E’ una sentenza fantastica”, esulta il denunciante, Herbert Gilbert, secondo il quale la decisione di Karlsruhe “non aiuta solo me, ma altre migliaia di denuncianti in attesa da anni”.
Lo scandalo mondiale del dieselgate è venuto alla luce nell’autunno del 2015, quando fu la stessa casa di Wolfsburg ad ammettere di aver installato su ben 11 milioni di vetture il software illecito, dopo che era emerso che le emissioni di ossido d’azoto erano notevolmente superiori a quanto indicato dai test di prova. Un terremoto per l’industria automobilistica tedesca le cui scosse si continuano a sentire fino ad oggi.