Le associazioni di categoria contestano le indicazioni dell'Inail per la riapertura dei ristoranti. Rispettare lo spazio di 4 metri quadrati per cliente nei ristoranti significa "perdere il 60% dei coperti", ha detto all'AGI Roberto Calugi, direttore generale Fipe, la federazione che rappresenta 120.000 aziende del settore ristorazione.
"Così si uccide la ristorazione e si condanna all'implosione un settore che prima della crisi aveva un giro d'affari di 90 miliardi di euro e ne ha già persi 34", ha aggiunto Calugi, secondo il quale "ora dipende tutto da cosa farà la politica, se le regole sono queste è impossibile sopravvivere".
Già prima, ha ammonito, "rischiavano di chiudere 50.000 imprese su 300.000 e di mettere di mettere in mezzo alla strada 350.000 persone. Se le regole per la Fase 2 sono queste i numeri saranno molto peggiori, perché sarà impossibile per la ristorazione riaprire". E osserva: "Non hanno senso i 4 metri quadrati a persona".
Il direttore generale di Fipe-Confcommercio si chiede: "Ma se dappertutto, dai supermercati ai mezzi pubblici, rispettiamo il metro di distanza, perché 4 metri nei ristoranti? Dopo tre mesi di chiusura e aver subìto danni incalcolabili questo colpo ci farà chiudere per sempre. Allora la ristorazione italiana non esisterà più e chiederemo tutti il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza, e vivremo sulle spalle dello Stato".
Dal canto suo, Confesercenti premette: “Accogliamo con favore la decisione di permettere alle Regioni di anticipare al 18 maggio la riapertura di bar, ristoranti e parrucchieri. È una strategia di buon senso, che permette di ripartire dove è più sicuro farlo, rimettendo in moto le attività e dando una chance in più di recupero all’economia del territorio”.
Ciò detto, Confesercenti osserva: “Sarà però praticamente impossibile far ripartire le vendite senza regole comprensibili e sostenibili sulla sicurezza: se non si farà chiarezza, fino a un’impresa su quattro potrebbe essere costretta a non ripartire, per non trovarsi a lavorare con restrizioni tali da rendere anti-economico il proseguimento dell’attività, e anche per il timore di incorrere in sanzioni o peggio”.
"Un timore figlio dell’incertezza. A livello locale e regionale infatti - prosegue Confesercenti - si continua a dibattere e a produrre ordinanze e protocolli di sicurezza che rischiano di costare tantissimo alle imprese senza dare ai lavoratori maggiori garanzie rispetto a quanto già stabilito dall’accordo tra le parti sociali ed i sindacati. Il risultato è un caos di voci discordanti su modalità di sicurezza, necessità di ditte specializzate che rilascino certificazioni, distanziamenti impossibili e altrettanto impossibili sanificazioni continue dei prodotti".
Secondo Confesercenti, "provvedimenti e proposte a volte contrastanti tra loro e che spesso, se applicati nel modo in cui vengono immaginati, vorrebbero dire il blocco totale dell’attività economica. Bisogna invece spazzare via l’incertezza con disposizioni chiare, sostenibili e valide per tutto il territorio nazionale su sanificazione e gestione della clientela”.