Giovani e settore turistico: saranno questi gli agnelli sacrificali della grande crisi economica che ci aspetta post-coronavirus? Lo abbiamo chiesto al professor Marco Fortis, economista e docente dell’Università Cattolica di Milano, oltre che vicepresidente della Fondazione Edison, che ha tracciato alcuni importanti passi da compiere per evitare la catastrofe economica, di cui - spiega “ancora non possiamo prevedere tutti gli effetti”.
“Stanno uscendo previsioni sull’andamento dell’economia mondiale, come quelle del Fondo monetario con il suo ultimo outlook, che parlano della più grande crisi economica dopo la Grande Depressione, con una caduta del Pil mondiale, come non era successo neanche nella crisi del 2008. I cali vanno da quello della Germania dell’8%, all’Italia con il 9,2%, e un recupero previsto per l’anno dopo di appena 4 punti. Ogni società ha il suo profilo demografico: noi avevamo una popolazione molto anziana. Quindi dire che i giovani pagheranno in modo importante questa crisi ha un suo fondamento.
Perché a soffrire potrebbero essere soprattutto i giovani, ovvero coloro che invece potrebbero dare di più all’economia?
Basterebbe ricordare che in Italia si sono perse due generazioni di giovani senza offrire loro prospettive importanti sul mercato del lavoro. Abbiamo avuto la crisi del 2008-2009, poi quella del 2011-2012: eravamo riusciti a recuperare un milione di posti di lavoro, ma prima ne avevamo persi altrettanti e soprattutto in termini di ore lavorate il recupero non è stato paragonabile alla caduta. Adesso sperimentare una terza grande crisi, ancora più grande delle due precedenti, significa generare disoccupazione e in questo contesto le opportunità di lavoro per i giovani diventano sempre più rarefatte. Se c’erano problemi prima quando eravamo in fase di ripresa e non si riuscivano a creare opportunità di lavoro per le nuove generazioni, è molto verosimile che questi problemi si concretizzeranno ancora di più durante la crisi che ci attende.
C’è qualche spiraglio o tutto il quadro è a tinte fosche?
Qualche spiraglio di opportunità si può intravedere, se è vero che alcune attività come lo smart working, o altre collegate all’utilizzo di tecnologie, potranno svilupparsi a seguito dei cambiamenti strutturali che questa epidemia ha portato nel modo di lavorare. Purtroppo però questa crisi globale non risparmierà nemmeno i giovani più preparati. A soffrire infine, sarà soprattutto il terziario italiano nel turismo, che è importantissimo e coinvolge tantissimi under-40, part time e tempo pieno: un settore che determinerà con la sua crisi una disoccupazione impressionante nella filiera dell’ospitalità, come in alberghi, ostelli, ristoranti.
Che cosa si può fare nell’immediato per provare a salvare qualche impresa?
In questa fase in cui ci sono molte imprese italiane che hanno dovuto chiudere, ma avevano ordini avviati: permettiamo loro di evaderli in condizioni di sicurezza. La prima riapertura che io farei è quella delle imprese che possono documentare di contribuire all’export. In questo modo abbiamo la possibilità di dare un po’ di ossigeno all’economia: sarebbe stupido e insensato buttare via questi ordini e mettere in cassa integrazione operai che possono lavorare ancora per un paio di mesi, in particolare nel settore componentistica e della meccanica. Se nostri clienti ci abbandonano e vanno a rifornirsi in Est Europa e in Cina li perdiamo per sempre. Dobbiamo stare molto attenti a non perdere la nostra posizione nella catena internazionale della produzione.
Sarà l’export a salvarci?
“Non basterà l’export: se pensiamo che solo esportare sia la via per riprendersi, stiamo seguendo un’utopia. Mettiamoci il cuore in pace: se riusciamo a mantenere le nostre quote di mercato è già tanto. Il nostro principale mercato è la Germania, ed era già fermo prima della crisi del Covid, visto che il settore auto aveva subito uno stop. La Francia è il nostro secondo mercato, ma sta soffrendo un’epidemia che rischia di superare i 20mila decessi a bilancio finale. Poi abbiamo gli Usa, massacrati dal Covid. Al quarto posto la Gran Bretagna infine la Spagna, il nostro quinto mercato il bilancio finale in termini di sconvolgimenti della vita sociale dei nostri mercati di riferimento per le esportazioni è drammatico.
Può essere stimolata invece la domanda interna?
L’unica arma che possiamo ancora avere sono gli investimenti in costruzioni, sia quelli privati, sia quelli pubblici. Le persone hanno scoperto l’importanza dell’abitazione, e delle sue pertinenze come giardini e terrazze, che oggi valgono come l’oro. Stimolare a rimettere a posto queste case e a ristrutturarle dovrebbe essere un atto di politica economica di emergenza. Ma soprattutto ci sono le opere pubbliche da portare a termine. Se ne parla dall’autunno, ma siamo ancora qui a discutere e non parte nulla: dalla Gronda di Genova ad altre opere che si potrebbero cantierare e potrebbero compensare in parte il crollo del Pil dal lato della domanda. Inoltre indebitarsi dimostrando che si fanno opere pubbliche basiche, come il completamento di dorsali autostradali o linee per la connessione veloce (e che così si dà lavoro a molte persone) sarebbe anche un buon viatico per ottenere dall’Europa la massima flessibilità nei conti. Durante la grande depressione il modo per creare reddito fu creare lavoro: i redditi universali sono un’utopia totale. Quando, con il crollo della fiducia e dei consumi, ci troveremo di fronte ad una mancanza di denaro enorme, questo denaro si potrà creare solo grazie alle concessioni dell’Europa, ma non su erogazioni a pioggia, quelli non riesce a farli neanche un mago.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia col Mes?
I 37 miliardi del Mes vanno accettati e spesi soprattutto per investimenti sanitari. E’ un prestito non più condizionato e a tassi bassissimi: sarebbe meglio usarlo. Cerchiamo di diventare grandi e smettiamola con le polemiche politiche di poca importanza.
Poi bisogna declinare il decalogo stilato dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi. Ci sono governi che hanno un potere di intervento molto più forte, come gli Usa, la Gran Bretagna e la Germania che può passare dal 60% di rapporto debito-Pil al 90 e rimanere ancora un paese virtuoso. Da noi si finirebbe al 150%, ma bisogna far capire che questo debito si fa per uscire da una guerra. E’ necessario che le regole che non siano più gabbie. L’Europa dovrebbe dare l’immagine di un continente colpito ma pronto a ripartire, smettendola di fare i calcoli dei ‘falchi’ del Nord.
Che cosa ci porterà davvero fuori dalla crisi economica che ci aspetta?
Nel momento in cui funzionerà, solo il vaccino potrà ripristinare la fiducia nei comportamenti delle persone, che è andata completamente persa. Il clima che stiamo vivendo è estremamente poco socializzante e questo non aiuta. L’Italia però ha dato prova di rigore e di saper seguire le regole. Ora va liberata dalla paura.