Un taglio da 10 milioni di barili al giorno della produzione mondiale di petrolio sembra ora possibile. A sancirlo dovrebbe essere il vertice dell'Opec+ convocato in teleconferenza per lunedì prossimo dall'Arabia Saudita. I mercati ci credono, come testimonia il nuovo balzo dei prezzi del greggio: venerdì sera il barile americano di Wti con consegna a maggio è salito di circa il 12%, ovvero 3,2 dollari, attestandosi a 28,34 dollari. Il prezzo del barile di Brent, con consegna a giugno, è aumentato del 13,5%, pari a circa 4 dollari, a 34 dollari
Il lavoro delle diplomazie è stato certificato anche dal presidente russo, Vladimir Putin, che si è detto pronto a collaborare con gli Stati Uniti per stabilizzare i corsi dell'oro nero. Il leader del Cremlino non ha mancato tuttavia di criticare l'atteggiamento saudita e ha accusato Riad di aver fatto crollare i prezzi nelle ultime settimane per "mettere fuori gioco" i produttori di shale americani.
Il vertice di lunedì
Ad annunciare che l'Opec e i suoi alleati si riuniranno lunedì in teleconferenza è stato il ministro dell'Energia azero. Sul tavolo, hanno fatto sapere fonti dell'organizzazione dei produttori c'è un taglio senza precedenti, pari al 10% della produzione mondiale: circa 10 milioni di barili al giorno. Per ora non ne è tuttavia ancora stata discussa la distribuzione e se e quanto interverrano anche altri Paesi che dell'Opec non fanno parte, a cominciare dagli Stati Uniti.
Mosca pronta a collaborare con Washington
A far sentire forte la sua voce è stato il presidente russo, Vladimir Putin. La Russia, ha detto, è "pronta a lavorare con gli Stati Uniti" per stabilizzare il prezzo del petrolio sui mercati: c'è bisogno di un taglio alla produzione di "circa 10 milioni di barili". Putin ha anche riferito di aver avuto un colloquio con il presidente Usa, Donald Trump, nel corso del quale entrambi si sono detti "preoccupati per la situazione".
Il Cremlino non ha però mancato di accusare l'Arabia Saudita per il recente crollo dei prezzi del greggio, rotolato su livelli che non si vedevano dal 2002. Il calo, ha osservato, Putin è stato dovuto sì al coronavirus, che ha fatto crollare la domanda, ma anche al ritiro di Riad dall'Opec+ e dall'obiettivo del Regno di mettere fuori gioco i produttori di shale americani.
La Iea avverte: le scorte cresceranno comunque
Il taglio alla produzione in discussione lunedì potrebbe comunque rivelarsi insufficiente. Secondo il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia, Fatih Birol, una riduzione della produzione di 10 milioni di barili al giorno non basterebbe a impedire che le scorte mondiali salgano di 15 milioni di barili al giorno nel secondo trimestre. Troppo forte il calo della domanda legato alle misure di contenimento del coronavirus. Birol ha anche esortato l'Arabia Saudita, leader de facto dell'Opec, a coinvolgere tutti i Paesi del G20, di cui Riad è attualmente alla guida, nel tentativo di stabilizzare il mercato.
Gli Usa taglieranno? Trump incontra i petrolieri
La vera domanda è se anche gli Stati Uniti parteciperanno ai tagli alla produzione e in quale misura. Proprio di questo ha discusso Donald Trump con i ceo delle major a stelle e e strisce convocati alla Casa Bianca, ai quali ha assicurato che "verrà trovata una soluzione per far ripartire il business dell'energia è che verranno acquistati barili per le riserve strategiche nazionali. Il presidente Usa è stato il primo ad annunciare un taglio alla produzione globale tra 10 e 15 milioni di barili al giorno, ma ha anche sottolineato di non aver fatto "nessuna concessione all’Arabia Saudita o alla Russia" e, in particolare, di non aver «concordato un taglio della produzione Usa".
Negli Stati Uniti il dibattito è aperto. A trattare con l'Opec+ sarà il commissario della Texas Railroad Commission, Ryan Sitton, invitato a partecipare alla riunione di lunedì dal segretario generale dell'organizzazione, Mohammad Barkindo. I prezzi bassi stanno rendendo insostenibile la situazione per molti produttori di shale americani, i cui costi di estrazione sono troppo alti per sostenere la situazione. Ma se Texas e Oklahoma hanno strumenti legali per regolare la produzione, lo stesso non vale per altri grandi Stati produttori come l'Alaska, cui neanche il governo federale potrebbe imporre un tetto.